Sempre di più si sta diffondendo la casistica del “burnout”. Sul tema c’è ancora molta confusione e questo potrebbe provocare difficoltà di gestione per aziende ed intermediari in tema di normativa di lavoro.
È brutto parlare di moda quando si tratta un argomento delicato come la salute, ma purtroppo si sta diffondendo un fenomeno a livello medico che, essendo ancora poco e non chiaramente definito, rischia di sfuggire di mano a livello normativo e di gestione aziendale.
E si sa che sono spesso gli onesti a dover pagare per gli abusi di chi invece si approfitta delle situazioni.
Stiamo parlando del “burnout”. All’estero (es. Olanda e Francia) si sta diffondendo a macchia d’olio, ahimè in alcuni casi proprio come moda non supportata da certificazioni mediche, la prassi di assentarsi dal lavoro sfruttando la giustificazione del “burnout” e tutto ciò sta arrivando anche in Italia.
Letteralmente il termine “burnout” si traduce con: surriscaldamento, bruciato e in senso figurato con esaurimento, crollo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) evidenzia come il “burnout” sia da intendere quale uno stato di stress cronico lavoro-correlato, supportato e caratterizzato da una sensazione di completo esaurimento delle proprie energie fisiche e mentali.
Studiosi esperti lo definiscono come “una sindrome psicologica che emerge come risposta prolungata a stressors interpersonali cronici sul luogo di lavoro”.
A livello pratico il lavoratore comunica all’azienda di non poter prendere servizio, per un tempo indefinito, a causa di “burnout”.
In un’epoca storica caratterizzata purtroppo da elevati livelli di stress, ma allo stesso tempo per fortuna da un riconoscimento attivo da parte della popolazione dell’importanza della terapia, non è difficile comprendere come patologie (mi si passi il termine seppur io non abbia basi scientifiche per fornire definizioni specifiche) simili possano entrare a far parte della nostra quotidianità, anche se in passato non note o definite.
Lasciando a chi di dovere l’analisi medico-scientifica della problematica, è necessario però che si avvii una fase di serie riflessioni in tema di gestione della situazione in ambito di lavoro.
Ad oggi la normativa e la contrattazione collettiva sono tarati sulla gestione di malattie che non comprendono queste casistiche e non regolamentare chiaramente e rigidamente questa nuova sindrome significa aprire il campo a un caos infinito che metterà in ginocchio le aziende. Assenze improvvise e prolungate, non definite, che chiaramente si portano dietro serie difficoltà organizzative per le attività aziendali, le quali si troveranno, da un giorno all’altro, senza risorse, con ruoli scoperti, nell’impossibilità di attivare sostituzioni valide nell’immediato, con obbligo di farvi fronte attivando una politica di over-working nei confronti delle altre risorse già in organico. Il quadro, seppur caotico, è purtroppo chiaro agli occhi dei tecnici. Ne risentiranno non solo la produttività e i risultati aziendali, ma anche la qualità dei rapporti tra le risorse, il clima, l’umore nei confronti della dirigenza, con perdita di retention e anche di attrattività.
Si rischia il collasso delle imprese, di ogni tipologia e dimensione; e si sa che in caso di crisi, le prime aziende a risentirne sono le medio-piccole, esattamente quelle che reggono l’economia del nostro Paese.
Perché quindi lasciare che il problema si scaraventi sul mondo del lavoro senza aver attivato per tempo politiche idonee alla gestione della casistica?
Abbiamo visto l’iceberg da lontano, muoviamoci per cambiare rotta per tempo.
(Autore: Sistema Ratio)
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