Non da adesso la giurisprudenza è intervenuta di fatto a “smontare” i tentativi di certezza economica che il Jobs Act (D.Lgs. 4.03.2015, n.23) intendeva fornire nella fase di risoluzione patologica dei rapporti di lavoro: sono state infatti numerose le sentenze sia della Consulta che della Cassazione che ha riportato la situazione degli esborsi in conseguenza di licenziamento non giustificato, a quella che era prima appunto della norma del 2015.
Da ultimo la sentenza della Corte Costituzionale n. 118/2025 interviene sull’art. 9, c. 1 D.Lgs. 23/2015 che limitava, per le aziende sotto i 15 dipendenti, il risarcimento a un massimo di 6 delle ultime mensilità percepite. Il Giudice di merito aveva riconosciuto un’indennità superiore, l’azienda aveva impugnato invocando tale tetto, la Consulta è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della sussistenza del tetto di 6 mensilità e lo ha ritenuto incostituzionale.
Abbiamo letto, ed effettivamente si può concordare, che la situazione attuale per i piccoli e piccolissimi imprenditori comporta un grado di incertezza tale da scoraggiare interruzioni di rapporti di lavoro per paura di vedersi condannati a indennizzi che vanno ben oltre i limiti fissati dal Jobs Act e questo sicuramente è un problema. Ma la sentenza offre però uno spunto di riflessione importante, poiché “critica” costruttivamente il fatto che sia il solo criterio delle unità lavorative in organico a determinare la misura degli indennizzi ai lavoratori, infatti, riprendendo alcuni passi della motivazione, la valutazione “…determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti di datori di lavoro/imprese con più di 15 occupati, che, a seconda della gravità del vizio dell’atto espulsivo, potrebbero fruire della tutela reintegratoria insieme a quella indennitaria, ovvero della sola tutela monetaria, quantificabile però fino alla rilevante misura di 36 mensilità, e lavoratori dipendenti di datori di lavoro/imprese “sottosoglia” che, invece, oltre a vedersi sempre preclusa la tutela reale, sarebbero destinatari di una tutela indennitaria costretta in una forbice ridottissima, da 3 a 6 mensilità, tale da non consentire al giudice di distinguere la tutela in funzione del vizio, anche importante, che inficia l’atto espulsivo”.
Di fatto, viene richiamata l’attenzione su un difetto storico della tutela reale ed obbligatoria, da sempre legata al numero dei lavoratori in organico, il famoso discrimine “più o meno di 15 dipendenti” pare veramente non più in grado di determinare quale possa essere la reale dimensione e forza del datore di lavoro che, ricordiamo sempre, pone in essere una condotta espulsiva non giustificata: su questo la Consulta si esprime in tali termini “un simile diverso trattamento, in quanto collegato all’esclusivo criterio delle dimensioni occupazionali del datore di lavoro, dipenderebbe, peraltro, da un elemento esterno al rapporto di lavoro, per giunta non più idoneo, di per sé, a rivelare la forza economica del datore”.
Di fatto, è una traccia che il legislatore dovrà seguire nel necessario e prevedibilmente prossimo riordino della normativa sulle varie questioni lavoristiche aperte (per esempio il decorso della prescrizione per i crediti da lavoro in costanza di rapporto).
(Autore: Antonio Gualtieri – Sistema Ratio)
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