Sergio Marchionne aveva sfidato il provincialismo italiano, specie sulle ferie agostane, un lusso che il mondo multinazionale globalizzato non si può permettere.
In un mondo del lavoro sempre più connesso e senza confini, le riflessioni di Sergio Marchionne sul provincialismo italiano e, in particolare, sulla prassi delle ferie agostane generalizzate, hanno offerto e offrono ancora spunti cruciali, specialmente per i giovani che si affacciano o già operano in contesti multinazionali. La sua visione spesso scomoda ma lucida, mirava a scuotere il paese, spingendolo a riconoscere la propria posizione in una realtà economica globale che “se ne frega” delle nostre abitudini e percezioni interne.
Marchionne ha raccontato un episodio emblematico risalente al suo arrivo in Fiat nel 2004. L’azienda, in quel periodo, perdeva ben 5 milioni di euro al giorno. Nonostante questa drammatica situazione finanziaria, quando prese le redini e si ritrovò a lavorare in ufficio a Torino nel mese di agosto, si accorse che “non c’era nessuno”. La sua domanda retorica, carica di incredulità, fu: “Sono tutti in ferie?” “Ma in ferie da cosa?”.
Questa osservazione non era solo una critica alla gestione del tempo, ma un affondo diretto a una mentalità radicata. Marchionne sottolineava come una multinazionale, con operazioni in Paesi come il Brasile e l’America, continuasse a lavorare ad agosto, mentre la Fiat chiudeva i battenti.
Definiva questo atteggiamento come “estremamente provinciale” e persino una “pirlata” – l’idea che la Fiat, o l’Italia, potesse stabilire quando il mondo intero dovesse andare in vacanza.
Il punto centrale delle sue argomentazioni è che il mondo, a livello internazionale, semplicemente non si cura delle nostre tradizioni o delle nostre percezioni di noi stessi.
Non importa se “siamo capaci di cantare” o se siamo “bravi in italiano”; queste cose, nel contesto del business globale, non contano nulla. La nostra importanza commerciale “viene misurata a livello globale, non a livello nazionale”.
Questo provincialismo si manifesta in molteplici aspetti, andando ben oltre la questione delle ferie. Marchionne osservava come ogni tentativo di proporre una visione più globale o di affrontare fatti scomodi venisse accolto con una reazione difensiva, quasi che il Paese si sentisse “attaccato”, accusandolo di essere “anti-italiano”.
La realtà è che l’Italia deve “togliersi questo senso di provincialismo” e rendersi conto “di dove sta” in un mondo che è “diventato totalmente piatto”. Marchionne denunciava come, nonostante l’amore degli americani per l’Italia come meta turistica (“bellissima, amano andarci in vacanza”), quando gli veniva chiesto di investire nel Paese, la risposta era invariabilmente “no”.
Per rompere questo circolo vizioso, Marchionne indicava una chiara direzione, specialmente per i giovani: “dare l’opportunità ai giovani di andare a lavorare fuori”. Andare all’estero permette di “imparare molto” e di vivere “una realtà completamente diversa” dal “tipo di comfort che abbiamo noi in Italia”.
In sintesi, il messaggio di Marchionne, particolarmente rilevante per chi ambisce a una carriera in contesti multinazionali, è netto: il mondo degli affari non aspetta l’Italia e non si conforma alle sue abitudini. La percezione e la credibilità si costruiscono sulla competenza globale, sulla affidabilità e sulla disponibilità a competere senza scuse, abbandonando quel senso di autocompiacimento e quel provincialismo che ci isolano invece di integrarci pienamente nel mercato globale.
Marchionne probabilmente aveva ragione a criticare l’idea di fermarsi in agosto mentre il mondo continua a correre. Tuttavia, nel settore privato la competizione è da tempo una realtà quotidiana. Il settore pubblico, invece, spesso meno esposto a tali dinamiche, dovrà comunque evolversi; prima che le tensioni sociali diventino insostenibili, si renderanno necessari correttivi per valorizzare il merito, rafforzare l’efficienza e ristabilire un patto più equo tra Stato e cittadini.
(Autore: Stefano Zanon – Sistema Ratio)
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