Modi di dire: avere delle remore

L’estate, nonostante gli improvvisi acquazzoni e i repentini cali di temperatura, ha raggiunto il culmine e i palinsesti di molte reti televisive ruotano attorno al protagonista indiscusso di questa stagione: il mare.  

Dai film su improbabili squali assassini ai documentari sui favolosi atolli corallini, mai come in questo periodo è facile imbattersi in spettacolari immagini su quello che l’indimenticabile documentarista Folco Quilici definì “il sesto continente”. 

Fra le riprese più suggestive vi sono quelle di strani pesci incollati al corpo di balene, mante e tartarughe marine: sono le remore, creature appartenenti alla famiglia delle Echeneidae, presenti in molti mari compreso il Mediterraneo.

Lunghe da poche decine di centimetri a oltre un metro, le remore hanno il capo munito di ventose con le quali aderiscono al ventre o al dorso di grossi animali marini per farsi comodamente trasportare anche a testa in giù.

Spesso affezionate a una specie ben precisa (esistono quelle del marlin o del pesce spada ad esempio), le remore non sono parassiti e solitamente non procurano danni all’ospite; traggono bensì vantaggio dagli spostamenti dell’animale a cui aderiscono tanto da spingersi a incollarsi anche alle chiglie delle imbarcazioni e, talvolta, ai subacquei!

Sebbene le loro carni siano prive di valore commerciale, alcune popolazioni costiere hanno imparato a sfruttarle per la pesca di prede più prestigiose, come le tartarughe, insidiate confidando nell’indole appiccicosa della remora.

Gli antichi romani credevano che questi pesci misteriosi, dotati di una forza straordinaria, fossero capaci di rallentare la navigazione delle imbarcazioni tanto che Plinio le ritenne responsabili della sconfitta di Marco Antonio nella battaglia navale di Azio del 31 a.C. 

Alessandro Manzoni, nei Promessi Sposi, a proposito dell’erudizione di Don Ferrante, scrisse: “sapeva a tempo trattenere una conversazione ragionando delle virtù più mirabili e delle curiosità più singolari di molti semplici: come la remora, quel pesciolino, abbia la forza e l’abilità di fermare di punto in bianco, in alto mare, qualunque gran nave”.

Da tutto ciò si intuisce come la nostra creatura abbia presumibilmente a che fare con il concetto di remora intesa come ritardo, esitazione, arresto o freno in senso lato. Agisce senza remore l’audace, colui che si sente libero dai vincoli ed è convinto della decisone da assumere.

Al contrario, chi tentenna per timore di sbagliare, di contrariare qualcuno, di infrangere una norma o rompere un tabù, ha evidentemente delle remore. Se la cautela o la diffidenza ci impongono di porre delle remore alla stipula di un patto, la libertà di costumi che caratterizza il nostro tempo spinge molte persone a comportarsi senza alcuna remora.

Nel linguaggio nautico, infine, la proverbiale pigrizia del nostro pesce ha fatto sì che con il termine remora si descriva anche la parte più calma della scia di poppa di un natante, quella in cui le acque sono così placide da assumere un aspetto quasi untuoso.

Concludiamo questo breve viaggio sulla rotta delle remore o, meglio, delle creature alle quali esse si attaccano, dal medesimo luogo di partenza: il mare. E più precisamente l’Adriatico, il mare che per circa settecento anni, con una buona dose di altezzosità, Venezia ha considerato il proprio golfo.

In queste acque, affermò Goethe, le guerre, i commerci e la pirateria hanno generato un groviglio inestricabile. Un pensiero condiviso da Ambrose Bierce, intellettuale statunitense vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento, morto in circostanze misteriose, che nel proprio Dizionario del diavolo definì con palese cinismo la pirateria un “commercio senza troppe remore o ipocrisie”.

(Autore: Marcello Marzani)
(Foto: Marcello Marzani)
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