Il nostro Natale

La Natività in un presepio di Segusino del 2021

Proprio in vista dell’ormai imminente Natale, ha fatto riflettere un pregevole testo dello scrittore Alessandro D’Avenia che, sulle pagine di un grande quotidiano nazionale, ha citato la filosofa ebrea Hannah Arendt, morta nel dicembre di cinquant’anni fa, nel 1975. Così scriveva Arendt nel 1958 in “Vita activa – La condizione umana”: “Il corso della vita umana diretto verso la morte ci condurrebbe alla rovina e alla distruzione se non fosse per la facoltà di interromperlo e di iniziare qualcosa di nuovo, una facoltà che ci ricorda che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per incominciare”. Come sottolinea lo stesso D’Avenia, con ogni probabilità Arendt si ispirerebbe a un passo di cui è autore Sant’Agostino – vescovo e dottore della Chiesa tanto caro a papa Leone XIV – tratto dal famoso testo “Confessioni”, XI, 31: “Creatus est homo ut esset initium”, ossia “L’uomo è stato creato per essere un inizio”. Appunto.

A poche ore dalla grande festa dell’anno liturgico che celebra il mistero del Dio fattosi uomo, è proprio il tema della Natività a tenere banco, ad assumere il ruolo da protagonista, a suscitare le giuste considerazioni sul nostro tempo e sui nostri destini. Si tratta di un vero e proprio atto di fede nella “natività”, come effettiva nascita, ingresso definitivo in una condizione vitale, disponibilità a mettere in moto pensieri e atti generosi di novità, crescita, sviluppo, futuro. Ecco, Natale vuol dire per tutti, credenti e non, rinnovare la nostra fiducia nella dimensione generativa, nel nascere che rappresenta sempre un fatto straordinario nel suo essere ordinario, in un approccio che mette in luce e in evidenza la bellezza della vita, e non la fragilità della morte.

Certo, come uomini e donne non possiamo prescindere dal congedo terreno, dal senso del nostro limite, della nostra finitezza, della nostra condizione mortale, non immortale. Ma il Natale serve proprio a questo: a ricordarci che la nascita, ogni nascita, cambia il corso della storia, diventa un fattore di stupefacente innovazione, segna un mutamento, fa registrare un sentimento di speranza verso l’inedito, verso quello che verrà, verso quello che sicuramente non esisteva prima. E’ vero, sentiamo spesso parlare di natalità, meno di natività, perché siano dentro un “inverno demografico” che ci prospetta numeri severi e impietosi sul crollo delle nascite rispetto al passato nel nostro Paese, con tutti i problemi economici e sociali che vi sono collegati.

Per questo, forse, è meglio parlare e scrivere di “natività”, perché va giusto alla radice di questo sentimento, che esalta la novità della vita, e mette in secondo piano la negatività della morte, anche se nella nostra epoca sembra purtroppo la seconda a prevalere, come testimoniano le guerre, i conflitti, le disuguaglianze, gli omicidi e i suicidi, la distruzione del creato. Tutto è cambiato con la nostra nascita, infatti: nulla è più come prima, perché l’ingresso nel mondo del nostro volto, della nostra storia, della nostra filiera familiare, del nostro irriducibile carattere, della nostra irripetibile intelligenza, della nostro originale sensibilità, ha introdotto elementi talmente sorprendenti e innovativi da realizzare una fase del tutto diversa.

Conta la nascita, sicuramente, ma conta la nostra capacità di nascere e di rinascere ogni giorno, offrendo sempre inizio a cose che soltanto noi, nella nostra autenticità e soggettività, riusciamo a produrre. Cominciare, non finire, come motivo e ragione di operosa speranza quotidiana, di dedizione a sorti migliori per l’umanità, di impegno costante verso traguardi più alti di bene per tutti. Lasciando da parte i pessimismi e le tristezze, vincendo le tentazioni del “cupio dissolvi” e delle disperazioni, continuando a lavorare, a costruire, a voler bene, nonostante tutto.

E tutto questo tenendo presente che il punto d’inizio, il momento d’avvio – come scrive ancora D’Avenia – “la “natività di ciascuno è un miracolo, cambia il corso della storia. Il cordone ombelicale lo ricorda con realismo scandaloso: se ci guardiamo la pancia scopriamo di non esserci fatti da soli come crede l’eroe del nostro tempo, il self-made man, l’uomo della potenza, che non crede di aver ricevuto nulla e quindi tutto consuma”. Ecco dunque il nostro Natale: la consapevolezza di essere dono, il ricordo fecondo della nostra nascita, il nostro essere al mondo per generare continuamente cose nuove, quelle che solo noi possiamo inaugurare e nessuno può compiere al posto nostro.

Torna il grande tema della vita in pienezza, al tempo della festa natalizia votata alla bontà e alla pace, nella quale i reciproci dono diventano espressione di uno sguardo attento del cuore, oltre se stessi. Ecco l’augurio per questo Natale, che nasce ancora una volta dentro di noi, perché possiamo rinascere continuamente e lasciare tracce vere di vita buona intorno a noi.

(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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