Parole nuove

È cronaca di questi giorni, è preoccupazione di queste ore: un fiume di parole aggressive, corrosive, polemiche e ostili invade la comunicazione scritta e verbale, e i messaggi sui social.

Oltre alle immagini che esprimono ogni dimensione della realtà, e che stanno diventando la chiave interpretativa del nostro mondo moderno, più che mai oggi servono invece parole nuove, capaci di relazioni, virtuose, riconoscibili perché orientate a benedire, a dire bene, a mutare completamente registro, a trasformare in occasioni di incontro e di dialogo vero tra le persone le parole che vengono pronunciate e messe per iscritto, che viaggiano in internet e che raccontano la vita. Serve andare oltre, sul serio, e ritrovare il gusto e la pienezza della parola capace di unire, di opporsi alla moda imperante di una bulimia verbale spesso volgare, offensiva, invadente e opprimente, di acquisire e consegnare ai nostri interlocutori il piacere del rispetto, della misura e della gentilezza.

Le parole sono per antonomasia presenza e relazione, il tramite normale e personale per unire, comunicare, descrivere, rappresentare. Sono il sinonimo della relazione: andrebbero valutate, soppesate, considerate a dovere, essere il frutto di verità e di attenzione, diventare l’espressione cordiale di una voglia di costruire ponti di collegamento, mezzi per raccontare emozioni e sentimenti, strumenti reali per testimoniare la comune appartenenza alla realtà delle persone e dell’umanità.

Spesso sono taciute quando servirebbero, come nella prassi che dovrebbe essere normale del saluto e della riconoscenza. Altre volte diventano pletoriche, ridondanti, artificiose, e sembrano fabbricate e diffuse per alimentare un’affermazione di sé e una distanza, una rappresentazione di parte della realtà, magari non completa e veritiera, piuttosto che la vicinanza e la prossimità. Altre volte ancora coincidono con la chiacchiera inutile, la critica gratuita, il pettegolezzo, le affermazioni di disistima, il discredito, o peggio la denigrazione e la calunnia: sono le parole che fanno male, e spesso recano un danno irrimediabile alla dignità e alla stima che accompagnano una persona. Oggi viaggiano purtroppo in tanti casi al ritmo veloce e non controllabile del web e dei social, e si diffondono senza verifiche e senza rettifiche.

Fanno male, come pietre lanciate da mani anonime, che mirano al bersaglio e colpiscono senza coraggio e senza pietà. E ci sono le parole della cattiveria spinta, dell’offesa e dell’oltraggio, quel bullismo verbale che travolge tutti nei dialoghi e negli scritti, specchio di una parte di società malata nell’anima, incapace di un bene che assuma tra i suoi fondamentali le categorie del rispetto e della tutela dei più deboli.

Aveva ragione Papa Francesco, quando per la Giornata per le comunicazioni sociali 2025 aveva ribadito la “necessità di ‘disarmare’ la comunicazione, di purificarla dall’aggressività” perché “non porta mai a buoni frutti ridurre la realtà a slogan. Vediamo tutti come – dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social media – rischi di prevalere il paradigma della comunicazione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, di manipolazione dell’opinione pubblica”.

Vivere in relazione con la presenza e le parole vuol dire esattamente questo: ritrovare il senso e il valore di quello che siamo e diciamo, cambiare alla radice il tratto di un costume di cuori aridi che annovera tante assenze e nel contempo genera critica costante, antipatia, rabbia, rivalità fra le persone, decostruzione di una comunità che dovrebbe invece fondarsi sulla capacità di dire bene, e di fare bene.

È possibile, può diventare il tratto distintivo, interiore e visibile, di un mondo nuovo, in cui la comunicazione riscopra la verità e la bellezza, e ritrovi la felicità di un bene pensato, detto e realizzato. 

“Non l’ho mai sentito parlare male di nessuno”. Ha destato sorpresa, nell’occasione di alcune omelie alle esequie di persone defunte, questa particolare sottolineatura nei ricordi da parte dei celebranti: fra i tanti aspetti positivi, essi hanno inteso rimarcare un qualcosa che di solito sfugge tra i meriti acquisiti, fra le testimonianze più eloquenti di vite buone.

Eppure è così: essere sobri e giusti nelle parole, non alimentare il chiacchiericcio fastidioso sul prossimo, non ergersi a giudici delle esistenze altrui è una grande dimostrazione di intelligenza e di equilibrio, ancorata a valori basilari che praticano virtù e recano benefici a tutto il vivere sociale. Al tempo stesso, le buone notizie vanno raccontate, diffusi e fatti conoscere gli esempi positivi, messi in circolazione gli eventi compiuti e i volti delle persone che concorrono a costruire un mondo migliore. Servono parole buone, di vita buona, per tutti.

(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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