Prossimità

Una frase del grande scrittore russo Lev Tolstoj ci ha sempre colpito e, in un certo qual modo, affascinato, per la sua verità di fondo. “Tutti pensano a cambiare il mondo, nessuno pensa a cambiare se stesso”: così si esprimeva l’insigne letterato, facendo ben presente la fatica che ci prende di fronte al necessario mutamento quotidiano di noi stessi, e specialmente delle fragilità e dei difetti che ci appartengono, nello stesso momento in cui ravvisiamo assolutamente fondamentale che sia il mondo a invertire la rotta, siano gli altri a diventare migliori, esista uno scenario generale in cui occorre innovare decisamente la situazione complessiva, globale, planetaria, per il bene di tutti.

In pratica, mettiamo in evidenza il panorama di vaste dimensioni dell’umanità del nostro tempo, bisognoso a nostro giudizio di persone in grado di dedicarsi al meglio al suo cambiamento reale, e al tempo stesso constatiamo tutta la difficoltà di operare invece su noi stessi, sul nostro carattere, sul nostro modo di agire, al punto da giudicare l’impresa troppo ardua e di evitare spesso di procedere in questa direzione.

Da certi punti di vista, ci sembrerebbe in sintonia con una arguta espressione coniata dal disegnatore argentino Quino e riferita alla sua notissima creatura, simpatica e impertinente, ossia Mafalda: “Amare l’umanità non è una gran fatica: faticoso è l’amare l’uomo della porta accanto”.

E’ proprio così: dedichiamo sovente grandi pensieri, sofisticate riflessioni, importanti analisi ai destini dell’umanità in senso lato, auspicando le cose più belle, gli atteggiamenti più virtuosi, i sentimenti più nobili, in grado di mutare in profondità il corso della storia e della vita fra le persone del nostro tempo. E diciamo pure che tutto questo non ci comporta una gran fatica, essendo di fatto un esercizio intellettuale generale e generico, che non si scontra con la verità fattiva dei temi, dei disagi e delle difficoltà della vita concreta.

Infatti, la seconda parte della frase generata da Quino è rivelatrice di un passaggio di concretezza che molto spesso affrontiamo con difficoltà, ossia l’incontro, il dialogo, la disponibilità, il possibile aiuto verso chi ci sta accanto, il famoso “prossimo”. Il tema della “prossimità”, dunque, assume un deciso rilievo e comporta un serio coinvolgimento personale, perché è vicenda quotidiana che respira, colora e attraversa decisamente la nostra umanità. In ogni momento. A qualsiasi ora. Nei luoghi più disparati. E lo fa mettendo in contatto diretto uomini e donne che non sempre trovano facile la convivenza, lo stare insieme, la comunicazione, a distanza ravvicinata, gomito a gomito, nella condivisione di spazi e di abitudini.

Come scrive Gianfranco Ravasi nel suo breviario laico “Le parole e i giorni”, “abbiamo tutti incontrato nella vita persone che si riempiono la bocca di impegno civile, di diritti dei popoli violati, di giustizia sociale e poi sono irascibili e feroci col vicino di casa. Si dice che Cesare Beccaria, il grande alfiere dell’abolizione della pena di morte, fosse implacabile coi suoi domestici, al punto tale da aver trascinato in processo e in carcere un servo che gli aveva sottratto, a suo dire, una posata”.

È una citazione questa che ci stupisce, indubbiamente, ma che esprime in maniera efficace la distanza che intercorre spesso fra le nostre grandi dichiarazioni di principio e il fatto che non sopportiamo, e non perdoniamo in molti casi, le mancanze di chi ci sta accanto. Reagiamo con asprezza, mettiamo in evidenza con particolare enfasi il disagio provocato dal comportamento altrui, ci ergiamo a giudici severi che condannano platealmente ogni forma di possibile mancanza nei nostri riguardi.

In pratica, facciamo capire ai nostri interlocutori quanto sia problematico il famoso rapporto di “prossimità”, magari riuscendo nell’impresa di accendere contenziosi e di alimentare discordie invece di agevolare la soluzione dei malintesi o delle oggettive incomprensioni sorte, generate magari senza particolari volontà di fare del male o di offendere la sensibilità altrui.

Si tratta di comprendere, pertanto, come l’atteggiamento favorevole e positivo verso le altre persone, capace di costruire relazioni buone e autentico umanesimo, sia davvero un’arte, una forma esigente e creativa al tempo stesso, un modo eloquente per dare spessore concreto ai valori che contano sul serio nell’esistenza di tutti e di ciascuno.

Sono inutili i grandi discorsi sui destini dell’umanità, se non siamo in grado di testimoniare da vicino il senso profondo di un’umanità sincera che vive accanto, accoglie, interloquisce, sopporta anche con pazienza i ritmi e i modi di fare altrui.

Nella prossimità, dunque, riveliamo noi stessi, dando vita a ciò in cui crediamo veramente: per questa ragione, e solo allora, diventiamo affidabili e degni di fiducia, perché coerenti e credibili, dentro la vicenda ordinaria del nostro mondo inquieto e complicato.

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