Questione di stile

Qualcuno ne parla come se si trattasse di una semplice vicenda di pure formalità, di cortesie, di buone maniere, del tutto estranea alla verità della vita pulsante di ogni giorno. E su questo si apre l’immancabile dibattito tra fronti contrapposti, tutto incentrato sull’interrogativo se un certo modo di comportarsi possa essere annoverato fra le cose residue di un passato ormai alle spalle, o possa essere considerato ancora un elemento valido per le buone relazioni dell’oggi.

Sta di fatto che in un Paese come il nostro da sempre considerato patria del buon gusto e del “made in Italy”, quale fattore distintivo di classe, armonia e bellezza, anche le cronache estive della sciatteria, della maleducazione e della cafonaggine contribuiscono a rendere più che mai attuale una riflessione adeguata e opportuna su quanto avviene nel contesto delle nostre dinamiche sociali.

Sgombriamo subito il campo da una possibile critica: nessuna nostalgia, nessun sentimento vagamente retrò, nessuno sguardo compiacente verso tempi cosiddetti “parrucconi” e intransigenti sotto il profilo dei rapporti individuali, in privato e in pubblico. E’ naturale l’evoluzione dell’umanità di ogni tempo e luogo verso l’innovazione, il cambiamento, l’assunzione di nuovi parametri e di nuovi stili di comportamento: nessuno si fa più meraviglia del fatto che tante prassi abituali in passato siano oggi radicalmente mutate, e che molti fattori acquisiti contribuiscano alla definizione di nuovi assetti e stili nell’esistenza delle persone e nell’architettura di comunità.

In tutto questo, bisogna comunque discernere con intelligenza e sensibilità che cosa resta valido e praticabile per una società in ogni caso alla ricerca di sostanza e immagine di vita buona e di un concetto di umanesimo davvero significativo per le generazioni del nuovo millennio.

E’ questione di stile, ancora prima è questione di senso, ossia di rispetto di se stessi e degli altri in un contesto in cui i valori fondanti per l’essenza stessa di civiltà siano riconosciuti, stimati, praticati e difesi.

Allora, la prima questione di stile non può che essere l’andare oltre la conclamata e sbandierata libertà individuale, come se al centro del mondo potesse sussistere soltanto il proprio “ego” e l’affermazione smisurata e incontrollata dei propri voleri e dei propri piaceri. Infatti, se mi rapporto in maniera corretta e corretta con il mio prossimo, con chi mi sta accanto, e magari si trova anche in una situazione di difficoltà e precarietà, e agisco con istinto di solidarietà e condivisione, sono certo che non nasceranno motivi di tensione, di polemica e di conflitto. Se questo avvenisse, saremmo ben lontani dalle cronache estive che ci hanno raccontato invece di località turistiche sovraffollate in preda a singoli e gruppi vocianti e incuranti dei beni pubblici, di risse scaturite per il nulla in paesi e città, di anziani vittime di truffe e raggiri con l’unico scopo di sottrarre indebitamente denaro.

Ancora, il rispetto del credo e della sensibilità altrui dovrebbe portare a mitigare termini di un linguaggio in molti casi diventato platealmente scurrile e volgare, anche e soprattutto in pubblico, pure parlando al telefono ad alta voce, a qualsiasi ora, senza mettere in conto il disturbo alla quiete, al riposo, alla tranquillità delle altre persone.

E poi l’eterna questione dell’aspetto fisico, dei vestiti indossati, del famoso “look” spesso inadeguato e fuori contesto, poco adatto alle circostanze, poco incline a trasmettere sentimenti e messaggi in linea con le situazioni che richiedono presenze a modo e pertinenti. Peccato, perché sarebbe l’Italia da sempre il leader mondiale dell’eleganza, della moda, del buon gusto, dello stile, con talenti e maestri indiscussi che hanno segnato epoche in passato e continuano ancor oggi a dettare l’agenda delle tendenze internazionali del settore.

Lo stile, insomma, come espressione concreta dei valori e del vissuto di una comunità, generativo di un approccio rispettoso verso i fondamenti etici del consesso civile, ben oltre le semplici norme di comportamento, le regole di buona condotta, i dettami della buona educazione. E’ qualcosa di più: si intreccia con la visione dei volti ritrovati  e della bellezza ammirata e conquistata, con la filosofia del vivere bene insieme, con la consapevolezza di un unico destino di umanità in cui il senso profondo della vita comune non sia estraneo alla serena autenticità delle cose che contano davvero. Questione di senso, questione di stile, perché è nell’eloquenza dei fatti, e non nella vaghezza delle parole, anche dei buoni propositi, che si trasmette sul serio il “sentiment” capace di illuminare e guidare la propria esistenza.

“Signori si nasce” riferisce ancor oggi un famoso detto, come a testimoniare che la signorilità, appunto, la gentilezza, il tratto cortese e benevolo verso tutti sono cammino e meta, frutto di educazione e motivo di formazione, lezione perenne che fa crescere in pienezza la nostra umanità.

(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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