Nella giornata odierna del 2 giugno, Festa della Repubblica, non possiamo non andare alle radici della vicenda democratica della nostra Nazione, sorta con il referendum popolare del 2 giugno 1946 che vide la scelta della forma repubblicana su quella monarchica da parte del popolo italiano.
Fu la prima volta al voto per le donne del nostro Paese, una conquista di libertà e di parità che ancor oggi ricordiamo con emozione quale segno di evoluzione del diritto, di giustizia sostanziale e di autentica democrazia. Ma da dove deriva il termine Repubblica? Treccani ci spiega che esso proviene dal latino “res publica”, ovvero “cosa pubblica”, cioè cosa di tutti.
Questa espressione, fino alle soglie dell’età moderna, era usata prevalentemente come sinonimo di Stato. In un’accezione più rigorosa, essa designa già nella cultura latina, e poi soprattutto in età moderna, la forma di governo nella quale la sovranità non è concentrata nelle mani di uno solo ma risiede nel popolo, nella sua interezza (repubblica popolare o democratica) oppure in una parte di esso (repubblica aristocratica o oligarchica). Genericamente, il Capo dello Stato repubblicano è eletto o direttamente dal popolo, o indirettamente tramite assemblee rappresentative e mantiene la propria carica per un tempo determinato. Nella repubblica democratica i cittadini sono considerati uguali, senza privilegi di ceto, e le leggi sono espressione della volontà del popolo, che le vota attraverso propri rappresentanti.
Dopo il referendum popolare del 2 giugno 1946, il 1° gennaio 1948 è entrata in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana nella quale ogni potere legittimo proviene dal popolo sovrano: esso elegge i propri rappresentanti al Parlamento, diviso tra Camera e Senato. Ma che cosa risulta veramente importante per la qualità della democrazia dei nostri giorni, valorizzando al massimo proprio il termine “res publica” che ne segna la denominazione? Innanzitutto, proprio la memoria, la consapevolezza della storia vissuta, del cammino percorso, delle lotte compiute e dei sacrifici patiti per il raggiungimento di alti traguardi di libertà e di civiltà giuridica per il nostro Paese. Un cammino lungo, faticoso, segnato da guerre mondiali sanguinose e devastanti, durante il quale l’Italia ha saputo riscattarsi e conquistare mete sempre più avanzate di progresso e di benessere. Per tutti, non solo per qualcuno. Perché “Res publica” vuol dire in radice proprio questo: suffragio universale, uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, bene comune, diritti e doveri per tutti e per ciascuno, istituzioni al servizio degli interessi esclusivi della collettività, impegno coerente e costante per l’affermazione della convivenza pacifica delle persone e delle comunità a livello nazionale e internazionale.
Non vuol dire “res privata”, a favore di specifici soggetti, per tutelare le vicende di singoli privilegiati, per garantire le opportunità di qualcuno in via del tutto particolare. E’ davvero Repubblica, Re-pubblica, che nella modernità della carta costituzionale consacra l’azione di quanti – anche nei tempi più bui – hanno creduto in un futuro autentico di libertà, di giustizia, di democrazia e di pace. Per tutti, indistintamente.
Ancora, “Res publica”, e nello specifico Repubblica Italiana, vuol dire senso di appartenenza, orgoglio di radici, identità di popolo, pluralità e varietà di soggetti istituzionali e sociali che vengono a formare l’unico “corpus” democratico. Nell’ambito degli assetti organizzativi, ad esempio, il principio è consacrato all’inizio del titolo V della Costituzione, articolo 114. Vi si legge al comma 1: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”: si tratta dell’affermazione in concreto di un principio molto importante, ossia che il concetto di Res publica – ossia di Repubblica per quanto riguarda l’Italia – comprende il pluralismo e la ricchezza dell’articolazione di enti territoriali, che hanno pari dignità e formano tutti insieme un profilo ordinato e complesso di rappresentanze e di poteri. Senza che nessuno prevalga come “dominus” sugli altri, e mettendo in luce una logica di unità e di cooperazione tra soggetti diversi.
E’ davvero “Res publica”, nella quale tutti si sentono parte attiva e motivata, dinamica e consapevole, cittadini tutti uguali in qualunque luogo abbia sede la loro dimora, la loro professione, la loro azione al servizio del bene comune., perché istituzioni pubbliche al servizio dell’unico ideale di democrazia e di pace.
La pace, appunto, “Res publica” per eccellenza, bene supremo e inestimabile, valore da difendere e promuovere nel segno dell’umanesimo e della vita buona. Per tutti. Ne ha parlato proprio nelle ultime ore il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, in occasione di questa Festa del 2 giugno, mettendo in luce come “la nascita della nostra Repubblica” sia stata “frutto di una scelta di pace, di libertà, di indipendenza, all’insegna del ripudio della violenza tra le nazioni”.
“Da quel voto del popolo italiano – ha proseguito Mattarella – è emersa la nostra Costituzione, “ambiziosa” nell’identificare nella pace e nella collaborazione la vocazione della Repubblica nei rapporti internazionali. Una scelta che il percorso di integrazione europea ha rafforzato e consolidato. Il rifiuto della categoria del “nemico”, la vocazione al dialogo, il ripudio della guerra quale strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, la promozione di organizzazioni internazionali rivolte a pace e giustizia, hanno contrassegnato e contrassegnano le scelte della Repubblica Italiana in questi 79 anni di vita. Il tema della pace è al centro della nostra comune attenzione”.
“Tanti sono i tristi scenari di conflitto aperti – ha concluso -. In molti luoghi del mondo emergono teatri di instabilità agevolati dalla violenza e dallo scontro che sembrano, per taluno, essere divenuti la misura dei rapporti internazionali. La pace non è un ideale per anime ingenue, stroncato poi dal severo giudizio della storia. La pace è esperienza che statisti lungimiranti hanno saputo pazientemente costruire: occorre proseguirne l’opera. Non ci si deve – e non ci si può – limitare a evocarla. È necessario impegnarsi perché prevalgano i principi della leale collaborazione internazionale, della convivenza pacifica, realizzati mediante il dialogo, la costruzione di misure crescenti di fiducia vicendevole. In questa giornata di festa vorrei condividere l’auspicio che ciascuno dei nostri Paesi faccia la sua parte per restituire ai popoli del mondo un futuro di serenità, a beneficio soprattutto delle giovani generazioni”.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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