È tempo di guardare avanti. Vediamo cosa si può fare concretamente per evitare che altre vite umane e animali vadano perdute sull’asfalto. E la buona notizia è che le soluzioni esistono, sono state testate in diverse parti del mondo, e funzionano davvero. Il problema è che richiedono investimenti, pianificazione strategica e un approccio scientifico rigoroso. Ed è qui, credo, stia il problema. Ma andiamo con ordine.
La letteratura scientifica internazionale sulle collisioni tra veicoli e fauna selvatica è ricca di studi quantitativi che hanno valutato l’efficacia di diverse strategie. Studi quantitativi, quindi, non si tratta di opinioni o buone intenzioni, ma di misurazioni precise, condotte con metodologie come il Before-After-Control-Impact design, che confronta i dati prima e dopo l’intervento tenendo conto delle fluttuazioni naturali delle popolazioni animali. Quello che emerge da questi studi è chiaro; alcune misure funzionano in modo eccellente, altre sono praticamente inutili, e molte richiedono una combinazione intelligente per ottenere risultati duraturi.
Partiamo dalla strategia più efficace, quella che ha dimostrato riduzioni delle collisioni fino al novantasei percento in alcune aree; le recinzioni di esclusione combinate con strutture di attraversamento sicuro. Può sembrare una soluzione banale, quasi brutale nella sua semplicità, ma è l’unico metodo che gode di un consenso scientifico quasi unanime. Le recinzioni alte almeno due metri e quaranta centimetri, ben ancorate al terreno per impedire che gli animali scavino sotto, creano una barriera fisica che devia i cervi lontano dalla carreggiata. Quando però si parla di recinzioni non si può pensare solo alla barriera; sarebbe come costruire un muro e aspettarsi che gli animali semplicemente rinuncino a attraversare il loro territorio.
Ed è qui che entrano in gioco i sottopassi e i sovrappassi per la fauna selvatica. Queste strutture, che stanno diventando sempre più comuni non solo in Canada e Stati Uniti, ma anche in Europa, permettono agli animali di attraversare le strade in sicurezza, mantenendo la connettività ecologica. Le recinzioni funzionano come canali che guidano gli animali verso i punti di attraversamento sicuri. Studi condotti su tratti stradali recintati e dotati di attraversamenti hanno documentato riduzioni costanti delle collisioni superiori all’ottanta percento. Il costo di costruzione è significativo, certamente, ma i benefici economici derivanti dalla prevenzione degli incidenti possono superare l’investimento iniziale nel giro di pochi anni, soprattutto nei segmenti stradali ad alto rischio.
C’è però un aspetto critico nella progettazione delle recinzioni che viene spesso sottovalutato da chi non mastica i parametri di base dell’ecologia: l’effetto estremità. Immaginate una recinzione che si interrompe bruscamente dopo pochi chilometri. Gli animali, deviati dalla barriera, tendono a concentrarsi proprio alle estremità, dove la recinzione termina, creando nuovi punti critici di collisione. È un fenomeno ben documentato che può annullare completamente i benefici della mitigazione se non viene gestito correttamente. Per questo motivo le recinzioni efficaci devono essere sufficientemente (chiedete quanto? Dipende dai parametri ambientali, ovviamente!), devono estendersi oltre le zone di maggior pericolo, e idealmente dovrebbero terminare in corrispondenza di strutture naturali o artificiali che riducono il rischio, come ponti o aree meno critiche. Inoltre, le recinzioni richiedono manutenzione costante per riparare brecce e danni, e devono includere vie di fuga, come cancelli a senso unico, per quegli animali che dovessero comunque riuscire a penetrare all’interno della carreggiata.
Ma le soluzioni fisiche non sono l’unica strada. Negli ultimi anni si sono sviluppate tecnologie più sofisticate che puntano a modificare il comportamento, sia degli animali che dei conducenti. Mi riferisco agli ultimi anni, non a decenni passati. I sistemi di rilevamento animali, noti come Animal Detection Systems, rappresentano un’innovazione interessante: sensori installati lungo la strada rilevano la presenza di grandi mammiferi in avvicinamento e attivano segnali luminosi di avvertimento per gli automobilisti. L’efficacia di questi sistemi varia notevolmente a seconda della tecnologia utilizzata, oscillando tra il trentatré e il novantasette percento di riduzione delle collisioni, con una media intorno al sessantacinque percento. I sistemi più affidabili utilizzano tecnologie a microonde che funzionano bene anche in condizioni di scarsa visibilità come nebbia o neve.
Il punto cruciale di queste tecnologie è la risposta del conducente. Un sistema di rilevamento è efficace solo se chi guida effettivamente rallenta o aumenta la propria attenzione quando vede il segnale lampeggiante. Per questo motivo l’affidabilità è fondamentale: troppi falsi allarmi e i conducenti inizieranno a ignorare i segnali, un fenomeno noto come assuefazione. Purtroppo, molti sistemi soffrono ancora di problemi tecnici significativi, con tempi di inattività dovuti a condizioni meteorologiche avverse o malfunzionamenti dei sensori. Rimane comunque una soluzione promettente, soprattutto per tratti stradali dove la costruzione di recinzioni sarebbe impraticabile o eccessivamente costosa.
Parlando di segnaletica, è importante distinguere tra ciò che funziona e ciò che è sostanzialmente inutile. I classici cartelli stradali fissi con la sagoma di un cervo, quelli che vediamo un po’ ovunque, sono purtroppo largamente inefficaci. I conducenti li notano le prime volte, ma poi smettono di prestarci attenzione. È un altro classico caso di assuefazione; il segnale diventa parte del paesaggio e perde il suo potere di allerta. Ben diverso è il discorso per la segnaletica dinamica o temporanea. Cartelli che si illuminano solo quando effettivamente c’è un rischio, magari collegati a sensori di rilevamento, hanno mostrato risultati molto più incoraggianti. Altrettanto promettente è l’uso di segnaletica temporanea attivata solo durante i periodi di maggior movimento della fauna, come le stagioni di migrazione o gli accoppiamenti, con riduzioni delle collisioni documentate fino al cinquanta percento in alcuni studi.
E poi c’è il tema della velocità, forse il fattore più semplice da modificare ma anche uno dei più difficili da controllare. Ridurre i limiti di velocità sulla carta non garantisce che gli automobilisti effettivamente rallentino. Tuttavia, quando le limitazioni vengono fatte rispettare attraverso controlli attivi, rappresentano uno dei modi più efficaci per ridurre sia la frequenza che la gravità degli incidenti. Uno spazio di frenata più breve e più tempo per reagire alla vista di un animale possono fare la differenza tra un incidente evitato e una tragedia.
Ci sono poi tutta una serie di dispositivi che periodicamente vengono proposti come soluzioni miracolose ma che la scienza ha smentito con chiarezza. I riflettori di avviso per la fauna selvatica, piccoli dispositivi installati ai lati della strada che dovrebbero spaventare gli animali con la luce dei fari riflessa, non funzionano. Lo dicono ormai numerosi studi: gli animali si abituano rapidamente e non modificano il loro comportamento. Curiosamente, in un esperimento i ricercatori hanno scoperto che coprire questi riflettori con tela bianca ha ridotto le collisioni del trentatré percento, probabilmente perché la tela stessa fungeva da segnale visivo di allerta. È un risultato inaspettato che merita ulteriori approfondimenti. Altrettanto inefficaci sono i fischietti da montare sui veicoli, dispositivi che in teoria dovrebbero emettere ultrasuoni per allontanare i cervi: semplicemente non provocano alcuna risposta comportamentale negli animali.
Accanto alle soluzioni tecnologiche esistono anche approcci più tradizionali legati alla gestione del territorio e delle popolazioni. La pulizia della vegetazione ai bordi della strada, creando ampie fasce sgombre di venti o trenta metri, può aumentare la visibilità reciproca tra conducenti e animali, oltre a ridurre l’attrattività dell’area come zona di foraggiamento. Ovviamente il metodo e i tempi della rimozione sono cruciali: una pulizia fatta male può stimolare la ricrescita di vegetazione particolarmente appetibile per i cervi, ottenendo l’effetto opposto. La riduzione delle popolazioni attraverso programmi di abbattimento selettivo è un’altra strategia controversa che può funzionare se condotta in modo sostanziale e continuativo, attraverso l’implementazione di piani di abbattimento che rispettino la reale struttura delle popolazioni frutto di stime affidabili, ma che solleva ovvie questioni etiche e deve essere bilanciata con gli obiettivi di conservazione della biodiversità.
Quello che forse è il messaggio più importante da portare a casa è che non esiste una soluzione unica valida per tutte le situazioni. Ogni tratto stradale ha le sue caratteristiche, ogni popolazione di cervi i suoi pattern di movimento stagionali. Per questo motivo la pianificazione strategica deve partire dall’identificazione precisa dei punti critici, quelli che gli esperti chiamano hotspot. Le collisioni non avvengono in modo casuale lungo le strade: tendono a concentrarsi in segmenti specifici dove la presenza di copertura boschiva, corridoi naturali di movimento come valli o corsi d’acqua, e alto volume di traffico si combinano creando condizioni di rischio elevato. Identificare questi punti attraverso il monitoraggio sistematico (che non è solo fare una lista degli incidenti, ma è un’analisi complessa che studia dove e quando avvengono, identifica i pattern e comprende i fattori che li causano) a lungo termine delle collisioni permette di concentrare gli investimenti più significativi, come recinzioni e attraversamenti, esattamente dove sono più necessari ed efficaci.
In altre parti del mondo questi approcci sono già realtà. Nel mondo esistono strade dotate di decine di sottopassi e sovrappassi per la fauna selvatica, circondate da chilometri di recinzioni, con tassi di collisioni ridotti drasticamente. In Europa, paesi come Germania e Svizzera hanno investito pesantemente in queste infrastrutture. Non sono soluzioni teoriche o sperimentali: sono interventi consolidati, che dipendono da decenni di ricerca scientifica e valutazioni quantitative rigorose.
Quello che serve ora non sono più scuse o rinvii, ma la volontà politica di investire in soluzioni che sappiamo funzionare. Perché ogni vita persa sulla strada, umana o animale che sia, rappresenta un fallimento della nostra capacità di convivere intelligentemente con l’ambiente che ci circonda. E le conoscenze per fare meglio, oggi, le abbiamo già.
(Autore: Paola Peresin)
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