“Lavoravamo la terra”: la memoria contadina del Veneto raccontata da Amerigo Manesso

La rassegna culturale di Trevignano, “I Martedì in Villa”, è tornata ad occuparsi l’altro ieri di storia con un approfondimento dedicato all’evoluzione del mondo contadino veneto nel corso del Novecento; un tema di grande rilevanza per diversi ambiti di studio: dalla sociologia alla scienza politica, fino alla storiografia locale. Il processo di trasformazione è stato raccontato, per l’occasione, da Amerigo Manesso, professore di filosofia e scrittore, attraverso la presentazione del suo ultimo lavoro “Lavoravamo la terra. Una storia orale del Veneto profondo“.

L’opera, arricchita dalla lettura al pubblico di alcuni estratti da parte di Barbara Vanzetto, rappresenta un’indagine approfondita sul vissuto di una famiglia contadina di Morgano.
Spinto dal desiderio di approfondire le radici materne, Manesso ha deciso di esplorare a fondo la storia della famiglia di sua madre, Elda, una dei 24 cugini discendenti di Giovanni e Giuseppe Dalla Valle, figli di Giacinto.

Questi ultimi rappresentavano emblematicamente le tante famiglie patriarcali che, nei secoli scorsi, lavoravano in affitto misto per le nobili casate veneziane. La terraferma era stata suddivisa in appezzamenti di circa 5000 metri, coltivati a seminativi, alberi da frutto e viti, poi concessi in affitto o a mezzadria a nuclei familiari spesso numerosi, che si spaccavano la schiena su campi che non appartenevano loro, faticando per una sussistenza tutt’altro che garantita.

Attraverso una serie di interviste ai suoi parenti, Manesso ricostruisce la povertà e le difficoltà che segnavano la vita agreste, mettendo in luce in particolar modo la precarietà economica e la condizione di estrema subordinazione vissuta dalle donne.

Tuttavia, il racconto di Manesso non si limita a evidenziare la sofferenza, ma sottolinea anche la capacità di riscatto di questa classe sociale. Con il passare del tempo, i contadini riuscirono a emanciparsi, inizialmente attraverso l’acquisto di piccoli appezzamenti di terra e successivamente abbandonando il lavoro agricolo per dedicarsi a nuove professioni, come il muratore, l’operaio o l’artigiano. Il fenomeno dell’emigrazione divenne una strategia comune per cercare migliori opportunità, contribuendo a trasformare profondamente il tessuto sociale ed economico del Veneto.

L’opera di Manesso si distingue per il suo approccio analitico e privo di retorica, mettendo in discussione l’idea che i contadini fossero una classe passiva e priva di voce. Attraverso la storia orale emerge una realtà complessa, in cui i lavoratori della terra hanno saputo costruire percorsi di affermazione economica e sociale, talvolta con il supporto delle leghe contadine, altre volte affidandosi alla Chiesa o a strategie di sopravvivenza autonome.

La ricerca si inserisce in un dibattito più ampio sulla rappresentazione delle classi subalterne nella storiografia, interrogandosi su quanto queste siano state effettivamente protagoniste della propria storia o se siano state relegate al ruolo di meri soggetti passivi.

La scelta dell’autore è stata quella di far parlare i contadini anziché parlare dei contadini, affinché, per una volta, potessero raccontarsi e non essere raccontati. Una forma di emancipazione narrativa, un modo diverso di approcciarsi alla storia, una prospettiva particolare in grado forse di riflettere gli sconvolgimenti di un secolo in modo più vivo e interessante.

(Autore: Francesco Bruni)
(Foto: Francesco Bruni)
(Articolo e foto di proprietà di Dplay Srl)
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