Nuovi criteri sostenibili per malghe e lupi

La Regione Veneto studierà i lupi fino al 2027 per dare risposte esatte agli allevatori

Il dottor Trombone, esperto in conflitti fauna-uomo, mi ha raccontato una storia edificante sull’arte italiana di scentrare l’obiettivo. “L’altro giorno,” mi ha detto con quel sorriso che preannuncia sempre le migliori assurdità, “sono stato aggiornato sui nuovi criteri di sostenibilità per un altopiano ricco di polemiche. Il problema era chiaro: l’allevamento è a rischio per la presenza di lupi.”

“Beh, sai come intervenire” ho osservato, “devi capire come ridurre i conflitti.”

“Esatto. Ma sa cosa hanno deciso di fare? Avviare un progetto sulla zootecnia delle malghe.”

Ho riflettuto un momento. “È come se, avendo mal di denti, decidessero di studiare l’odontoiatria bizantina.”

“Meglio ancora,” ha replicato il dottore, “è come se, trovando ladri in casa, decidessero di fare un corso di architettura medievale.”

Il dottor Trombone mi ha spiegato che questa è una specialità tutta italiana: noi siamo furbissimi e dominiamo l’arte di scentrare magnificamente l’obiettivo. “Vedi, quando c’è un problema concreto – i lupi che predano il bestiame – la cosa più elegante è ignorarlo completamente e concentrarsi su qualcos’altro di vagamente correlato ma infinitamente più semplice.”

“Ma come funziona esattamente?”

“Semplicissimo. Invece di dire ‘Come facciamo a proteggere le pecore dai lupi?‘ si dice ‘Come possiamo migliorare la zootecnia tradizionale delle malghe alpine attraverso un approccio multidisciplinare che tenga conto delle specificità territoriali?Suona molto più professionale.”

Il dottor Trombone mi ha mostrato il progetto: un documento di trecento pagine che parla di tutto tranne l’obiettivo principale. “Qui si discute di formaggi d’alpeggio, di razze bovine autoctone, di tradizioni casearie, di sostenibilità ambientale, di valorizzazione del territorio. Una meraviglia di erudizione.”

“E i lupi?”

I lupi sono menzionati a pagina duecentosettantadue, in una nota a piè di pagina, come ‘fattore di pressione ecosistemica da considerare nel contesto più ampio della gestione integrata del territorio montano.’ Ma la cosa più curiosa è che non c’è una sola riga su perché le misure di prevenzione adottate finora non abbiano funzionato.”

“Ah, non funzionano?”

“Evidentemente no, visto che il problema persiste. Ma anziché chiedersi ‘Perché i recinti elettrificati non hanno dato risultati?’ o ‘Come mai i cani da guardiania non sono stati efficaci?’ si è preferito cambiare completamente argomento. È come se un medico, vedendo che la cura non funziona, decidesse di specializzarsi in storia della medicina.”

È geniale, devo ammetterlo. Anziché affrontare il problema – due specie che confliggono per lo stesso spaziosi trasforma tutto in una dissertazione accademica sulla cultura pastorale. È come se, dovendo riparare una bicicletta bucata, si decidesse di scrivere una monografia sulla storia del ciclismo.

“Ma la cosa più bella,” ha continuato “è che alla fine nessuno sa più qual era il problema originario. Il progetto sulla zootecnia delle malghe avrà successo se produrrà formaggi migliori, non se risolverà il conflitto con i lupi. Quindi, tecnicamente, i lupi non sono più un problema: sono diventati una variabile trascurabile in un ecosistema di eccellenze casearie.”

“Ingegnoso. Così il lupo da predatore diventa… cosa?”

Diventa uno stakeholder. Un attore del territorio. Un elemento di biodiversità che arricchisce il paesaggio culturale dell’alpeggio tradizionale.”

Il dottor Trombone mi ha poi spiegato che la “tecnica dello scentramento” ha applicazioni infinite. “Se i cinghiali devastano i campi, si avvia un progetto sull’agricoltura sostenibile. Se i cormorani mangiano i pesci, si studia l’ittiocoltura medievale. Se i piccioni sporcano i monumenti, si fa una ricerca sull’arte urbana contemporanea.”

“E funziona?”

Funziona benissimo, nel senso che tutti sono soddisfatti. Gli allevatori perché credono che qualcuno si stia occupando di loro, i sedicenti esperti perché possono studiare “cose interessanti” e i burocrati perché hanno risolto il problema spostandolo altrove.”

“E le pecore? Vitelli? Manzette?”

“Ah, quelli. Beh, continuano a essere mangiate dai lupi. Ma ora lo fanno in un contesto di valorizzazione della zootecnia tradizionale, il che è completamente diverso, non per pecore, vitelli e manzette, ovviamente

Il dottor Trombone ha concluso con una riflessione interessante: “In fondo, centrare l’obiettivo è sopravvalutato. È molto più elegante scentrarlo con stile, trasformando ogni problema pratico in un’opportunità di ricerca teorica. Così tutti vincono: gli “studiosi” studiano, i burocrati burocratizzano, e la realtà rimane quella che è, senza dare fastidio a nessuno.”

Alla fine, ho capito perché si chiama ‘problem solving’: prima risolvi il problema spostandolo, poi risolvi dove spostarlo.

(Autore: Paola Peresin)
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