La sostenibilità tradita: come le buone intenzioni rovinano l’equilibrio naturale

C’è qualcosa di profondamente ironico nel fatto che l’essere umano, dopo aver passato millenni a cercare di tenere lontani gli animali selvatici dalla propria tavola, abbia deciso negli ultimi decenni di fare esattamente il contrario. Dal mare alle montagne, dalle lagune ai centri urbani, non si spegne la curiosa abitudine di trasformare ogni spazio pubblico in una sorta di ristorante a cielo aperto per la fauna locale. Il risultato? Una serie di conseguenze che farebbero sorridere se non fossero così costose da gestire.

Prendiamo i gabbiani, per esempio. Uccelli che si accontentavano di una dieta a base di pesce e uova di altri uccelli, hanno scoperto che la vita in città offre un menu decisamente più vario e appetitoso. A Venezia, dove circa tremila gabbiani reali hanno eletto domicilio nel centro storico, la situazione è ormai consolidata da oltre vent’anni. Non che siano aumentati di numero – la popolazione è stabile dal 2018 – ma si sono perfettamente integrati nel tessuto urbano, tanto da aver sviluppato competenze che farebbero invidia a qualsiasi borseggiatore di professione.

Il fenomeno ha radici lontane: la prima nidificazione urbana di gabbiani reali in Italia fu documentata a Roma nel 1971, e da allora questi uccelli hanno colonizzato sistematicamente tutte le città costiere. A Trieste la situazione è ancora più eclatante: dalle 250 coppie nidificanti degli anni Ottanta si è arrivati alle attuali 700, un incremento annuo dell’8,7%!

Ma la vera trasformazione non è tanto numerica quanto comportamentale. I gabbiani urbani hanno infatti sviluppato una sfrontatezza che rasenta l’impudenza: non si limitano più a rovistare tra i rifiuti, ma hanno imparato a “mendicare” cibo dai turisti, a effettuare raid chirurgici sui tavolini dei ristoranti e, ciliegina sulla torta, a rubare letteralmente il cibo dalle mani delle persone. A Trieste, piazza Goldoni, piazza Unità e piazza Sant’Antonio sono diventate teatri di quotidiane scenette in cui volatili delle dimensioni di piccoli rapaci si tuffano sui tavoli dei locali, provocando il panico tra i clienti e la sistematica rottura di stoviglie. Tra planate in Piazza San Marco e voli acrobatici nelle calli, i gabbiani veneziani vincono sui tentativi di nascondere gelati e pizzette.

Il tutto mentre i proprietari dei locali si arrabattano con cartelli che avvertono “Attenzione ai gabbiani”, come se fossero costretti a mettere in guardia da una minaccia aliena piuttosto che da uccelli che, in teoria, dovrebbero pescare in mare aperto.

Il paradosso è che tutto questo caos deriva spesso dalle migliori intenzioni. La gente, vedendo questi eleganti uccelli marini, non resiste alla tentazione di offrire loro qualche boccone, ignorando che così facendo sta letteralmente facendo scomparire quei comportamenti innati che interpretavano la nostra specie come una minaccia. Il risultato è una generazione di gabbiani che non ha più paura dell’uomo e ha imparato a considerare le aree urbane come il proprio territorio di caccia personale.

Ma se almeno i gabbiani rimangono tutto sommato gestibili, la situazione si complica quando la stessa logica viene applicata in contesti montani. Qui le buone intenzioni rischiano di trasformarsi in veri e propri pericoli. Ogni anno la cronaca ci informa di abitudini di lasciare cibo per attirare caprioli e altri “animali del bosco”, con la romantica speranza di osservare la fauna selvatica da vicino.

Il problema è che quando spargi cibo nel bosco non puoi scegliere chi invitare alla festa. Se l’obiettivo è attirare graziosi caprioli, bisogna mettere in conto che prima o poi potrebbero presentarsi anche ospiti meno graditi come orsi e lupi. E mentre un capriolo al massimo può danneggiare l’orto, un orso che ha imparato ad associare la presenza umana al cibo facile rappresenta un problema di tutt’altra dimensione.

La questione dell’adescamento involontario è particolarmente insidiosa perché ancora una volta trasforma comportamenti naturalmente prudenti in atteggiamenti confidenti. Orsi e lupi, che normalmente evitano il contatto con l’uomo, possono essere spinti dalla prospettiva di un pasto garantito a superare le loro naturali barriere comportamentali. Il risultato è che animali perfettamente in grado di procacciarsi cibo autonomamente nei boschi si ritrovano a zampettare tra le case, creando situazioni potenzialmente pericolose per tutti.

Non si tratta solo di singoli episodi isolati, ma di un fenomeno diffuso che ha radici culturali profonde. Sembra che l’urbanizzazione abbia creato una sorta di nostalgia per il contatto con la natura, che si manifesta attraverso questi tentativi di “addomesticare” l’ambiente selvatico. Il paradosso è che questo desiderio di vicinanza finisce per alterare proprio quegli equilibri naturali che dovremmo preservare. C’è qualcosa di profondamente poco sostenibile nel pretendere di aiutare la natura alterandone gli equilibri fondamentali: è come voler salvare un ecosistema distruggendolo un boccone alla volta.

Gli animali che si abituano a ricevere cibo dall’uomo sviluppano infatti una dipendenza che va ben oltre il semplice nutrimento. Modificano i loro schemi migratori, si concentrano in aree specifiche alterando gli equilibri locali, perdono abilità di sopravvivenza fondamentali che non riescono più a trasmettere alla prole. È come se stessimo involontariamente creando una generazione di animali selvatici “viziati”, incapaci di cavarsela da soli.

La soluzione, paradossalmente, passa attraverso una forma di “crudeltà compassionevole”: smettere di alimentare questi animali per il loro stesso bene. Significa implementare controlli più severi sui rifiuti urbani, multare chi abbandona scarti alimentari o alimenta deliberatamente la fauna, educare turisti e residenti sui rischi di questi comportamenti apparentemente innocui.

La vera ironia di tutta questa situazione è che il nostro desiderio di avvicinamento alla natura sta producendo l’effetto opposto: stiamo creando animali sempre meno “naturali” e sempre più dipendenti dalla nostra presenza. Forse è arrivato il momento di riscoprire che il vero rispetto per la fauna selvatica passa anche attraverso il mantenimento delle giuste distanze, permettendo agli animali di rimanere, appunto, selvatici.

(Autore: Paola Peresin)
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