A Nervesa della Battaglia, adiacente al Canale della Vittoria e in posizione predominante rispetto all’antico porto fluviale, sorge un’area monumentale dedicata agli artiglieri caduti per la Patria.
Ubicata sulle pendici orientali del Montello, nel giugno del 1918 Nervesa fu investita dai furiosi combattimenti di quella che è passata alla storia come seconda battaglia del Piave o battaglia del solstizio, considerata il punto di svolta per le sorti del primo conflitto mondiale. A contribuire in maniera decisiva alla vittoria italiana, insieme alle gesta del neonato Servizio Aereo, dei leggendari Arditi e delle altre specialità del Regio Esercito, furono i reparti dell’Arma di Artiglieria che, ancora oggi, celebra la propria festa proprio il 15 giugno.
Erede delle componenti militari che già in età classica impiegavano catapulte e baliste per scagliare pietre a grande distanza, a partire dal Quattrocento e dopo la scoperta della polvere da sparo l’artiglieria assunse un ruolo decisivo tanto nelle battaglie difensive che in quelle offensive. L’evoluzione tecnologica delle “bocche da fuoco”, l’introduzione della rigatura utile a conferire maggiore stabilità e accuratezza al tiro, l’avvento dei congegni a retrocarica e la realizzazione di munizioni sempre più efficaci hanno fatto sì che nel Settecento l’artiglieria, insieme al Genio militare, si sia guadagnata l’appellativo di “arma dotta” a riprova del complesso patrimonio di nozioni scientifiche necessarie a padroneggiare sistemi d’arma così sofisticati.
Una delle caratteristiche principali dei pezzi di artiglieria, fra questi l’obice, è quello battere gli obiettivi con traiettorie lunghe e “indirette”: a differenza delle armi più comuni come il fucile o la pistola, con l’obice non si traguarda direttamente il bersaglio, ma si utilizzano i congegni di puntamento della bocca da fuoco per impostare due angoli, la direzione e l’elevazione o alzo. In parole povere chi spara può non vedere l’obiettivo, ma centrarlo calcolando correttamente i parametri della parabola di tiro.
In determinate occasioni, tuttavia, anche un pezzo d’artiglieria può essere impiegato mirando direttamente al bersaglio; accade quando è necessario sfruttare la massima potenza della bocca da fuoco per abbattere una fortificazione o colpire un mezzo blindato. In questi casi l’artigliere “spara ad alzo zero”, espressione militare dalla quale è nata la caratteristica frase idiomatica “sparare a zero”.
Spara a zero il politico che attacca l’avversario con una veemenza tale da ricordare le micidiali bordate di un cannone impiegato a tiro teso; o colui che esprime giudizi spietati e senza possibilità d’appello. Il tifoso che reclama a gran voce l’esonero di un allenatore all’indomani di una sconfitta o la cliente di una boutique che con acrimonia auspica il licenziamento di una commessa giudicata incompetente stanno sparando a zero. Tutte situazioni nelle quali un essere umano esprime giudizi talmente drastici dal finire col rassomigliare a una micidiale colubrina pronta a far piazza pulita degli avversari.
Venezia, nelle sue articolazioni di Stato da mar e de tera, deve molto all’artiglieria. Imbarcate sulle galee, strategicamente posizionate sugli spalti delle fortificazioni sparse nel Mediterraneo, le bocche da fuoco della Serenissima hanno protetto uomini e merci dalle ambizioni genovesi, ottomane e dalla rapacità dei pirati adriatici, sempre pronti a sfidare le bordate della Dominante pur di arraffare un bottino.
Vita dura quella dei pirati di tutti i mari, anche per quelli usciti dalla penna del padre di Peter Pan, il drammaturgo scozzese Sir James Matthew Barrie, autore della celebre ballata: “Altolà, fermi tutti, siam pirati ammazzatutti! Se ci falcia una cannonata all’inferno farem l’adunata!”.
(Autore: Marcello Marzani)
(Foto: Marcello Marzani)
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