La domanda sulla sostenibilità umana non è mai stata così urgente come oggi. Una recente ricerca dell’Università di Montpellier, che trovate qui, ha analizzato oltre 225.000 ossa provenienti da 311 siti archeologici nel Mediterraneo francese, ci offre una prospettiva rivoluzionaria sui nostri rapporti con il regno animale negli ultimi 8.000 anni. I risultati sono tanto affascinanti quanto preoccupanti: siamo diventati la forza evolutiva dominante del pianeta, capaci di modellare non solo il nostro destino, ma quello di tutte le altre specie.
Ma quanto siamo davvero sostenibili? La risposta, emergente da questa straordinaria ricerca, dipende innanzitutto dalla nostra volontà. La ricerca dimostra che per circa 7.000 anni, animali selvatici e domestici hanno seguito percorsi evolutivi paralleli, crescendo e rimpicciolendosi in sincronia con i cambiamenti ambientali e l’attività umana. Questo lungo periodo di equilibrio relativo suggerisce che la coesistenza sostenibile tra umani e il resto della natura non solo è possibile, ma è stata la norma per la maggior parte della nostra storia.
Il punto di svolta è arrivato circa 1.000 anni fa, durante il Medioevo, quando le nostre scelte hanno iniziato a divergere drammaticamente dagli equilibri naturali. Non si è trattato di un processo inevitabile, ma di decisioni deliberate legate alle tecniche di allevamento e alle pratiche di sfruttamento del territorio. Questo ci insegna che la sostenibilità non è un vincolo esterno imposto dalla natura, ma il risultato delle nostre scelte consapevoli.
Tuttavia, bisogna considerare il peso dell’esperienza. Sebbene la nostra specie abbia circa 200.000 anni di storia, è solo negli ultimi millenni che siamo diventati la forza più impattante del pianeta.
L’analisi delle ossa dimostra che il nostro ruolo di “ingegneri dell’ecosistema” è relativamente recente nella storia evolutiva, ma straordinariamente potente nelle sue conseguenze. Questa giovane età della nostra dominanza ecologica è sia una responsabilità che un’opportunità: da un lato significa che abbiamo ancora molto da imparare sulla gestione sostenibile degli ecosistemi, dall’altro dimostra la nostra incredibile capacità di adattamento e innovazione.
L’evidenza archeologica è infatti inequivocabile: negli ultimi 1.000 anni, le attività umane hanno sostituito i fattori ambientali naturali come forza principale che modella l’evoluzione della dimensione animale. Siamo passati dall’essere una specie tra le tante a diventare l’architetto principale dei cambiamenti evolutivi sul pianeta. Questo impatto si manifesta in modi complessi e spesso sottovalutati. Non si tratta solo di estinzioni spettacolari o di cambiamenti climatici evidenti, ma di una trasformazione sistematica e capillare di tutti gli ecosistemi terrestri.
La ricerca rivela inoltre la nostra duplice capacità di influenzare l’evoluzione animale attraverso meccanismi sia diretti che indiretti, con risultati sorprendentemente diversi. Da una parte, attraverso l’allevamento selettivo, abbiamo trasformato radicalmente le dimensioni degli animali domestici: bovini, suini, ovini e pollame sono diventati progressivamente più grandi per soddisfare le nostre esigenze di carne e latte. Questa manipolazione diretta dimostra la nostra capacità di dirigere consapevolmente i processi evolutivi verso obiettivi specifici.
Parallelamente, le nostre attività hanno esercitato pressioni selettive sugli animali selvatici, causandone il progressivo rimpicciolimento attraverso quella che possiamo definire una manipolazione indiretta. La caccia e la perdita di habitat hanno favorito individui più piccoli e meno visibili, dimostrando come anche le nostre azioni apparentemente collaterali abbiano conseguenze evolutive profonde e durature. Questa dualità rivela la complessità del nostro impatto: mentre modelliamo deliberatamente alcune specie secondo le nostre necessità, ne trasformiamo involontariamente molte altre.
Ma ecco la domanda cruciale: se siamo capaci di influenzare così profondamente l’evoluzione di altre specie, perché non dovremmo essere in grado di sviluppare e implementare modelli sostenibili per la coesistenza? L’evidenza storica suggerisce che possediamo tutte le competenze necessarie. I primi 7.000 anni di relativa armonia dimostrano che la convivenza sostenibile è possibile, mentre gli strumenti che abbiamo sviluppato per l’analisi di dati complessi – come quelli utilizzati nella ricerca di Montpellier, che ha integrato informazioni su clima, vegetazione, densità di popolazione e uso del suolo – ci permettono oggi di comprendere i sistemi ecologici con una precisione senza precedenti.
La nostra capacità di raccogliere e analizzare enormi quantità di dati, combinata con la comprensione dei meccanismi che guidano i cambiamenti evolutivi, ci mette nella posizione unica di progettare strategie di conservazione basate sull’evidenza scientifica. Comprendere come le nostre azioni passate hanno plasmato il regno animale ci offre una direzione per il futuro: possiamo utilizzare questa conoscenza per sviluppare pratiche agricole, politiche di conservazione e strategie di sviluppo urbano che tengano conto degli impatti evolutivi a lungo termine delle nostre decisioni.
La ricerca dell’Università di Montpellier ci costringe quindi a confrontarci con una realtà tanto affascinante quanto inquietante: siamo diventati i progettisti evolutivi del pianeta. Questa posizione comporta una responsabilità immensa, ma anche un potenziale straordinario. Le dimensioni corporee degli animali, come sottolineano i ricercatori, sono “indicatori sensibili del cambiamento sistemico”, e la divergenza tra animali selvatici e domestici nell’ultimo millennio riflette non solo la nostra crescente influenza, ma anche la fragilità degli equilibri che abbiamo contribuito a creare.
Eppure, la stessa ricerca che documenta i nostri impatti ci fornisce anche gli strumenti per comprenderli e, potenzialmente, per indirizzarli verso obiettivi sostenibili. Se siamo stati capaci di trasformare involontariamente gli ecosistemi del pianeta, possiamo certamente essere capaci di progettare consapevolmente il nostro futuro comune con le altre specie.
La sostenibilità umana non è quindi una questione di limitazione delle nostre capacità, ma di orientamento consapevole del nostro straordinario potere evolutivo. La storia ci insegna che abbiamo già vissuto millenni di relativa armonia con la natura. Ora abbiamo l’opportunità – e la responsabilità – di costruire un futuro in cui la nostra influenza diventi sinonimo non di distruzione, ma di prosperità condivisa per tutte le forme di vita del pianeta.
(Autore: Paola Peresin)
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