Chi fa

Lo si nota ogni giorno, in ogni luogo, a tutti i livelli: ci sono una serie di persone – spesso purtroppo, sempre quelle – partecipi, attive e concrete, perennemente impegnate a fare, a costruire, a realizzare qualcosa di bene per la comunità, e ce ne sono altre – con una scusa pronta, con un alibi che apparentemente giustifica, a volte con critiche per nulla orientate a dare indirizzi e prospettive migliori al corso delle cose – che fanno invece dell’astensione e del disinteresse, e della mancata adesione al lavoro d’insieme, una cifra caratteristica e distintiva del proprio stare quotidianamente al mondo.

Allora, della prima categoria – specie per quanto riguarda il volontariato di animazione sociale – abbiamo una testimonianza eloquente proprio in questo primo periodo autunnale: in ogni parte del territorio regionale veneto, ci sono una schiera variegata di associazioni, gruppi e comitati che si prodigano nei paesi e nelle città per organizzare feste, eventi, sagre e rassegne con l’obiettivo di dare valore ai contesti di comunità, di promuovere cultura in senso popolare, di onorare tradizioni e ricorrenze legate al territorio, di celebrare con passione e sentimenti autentici quello che non è materia, interesse o denaro, ma bellezza e pienezza di senso e di vita buona.

Sono scenari complessivi di umanità ricca, innamorata dei luoghi della propria esistenza, sempre disponibile a mettere in moto processi nei quali i fattori della felicità condivisa e dello stare bene collettivo sono davvero posti in grande evidenza, stimati e praticati nella concretezza delle opere. Ma può scattare la domanda: non è per caso che alcuni siano richiesti delle visioni strategiche, dei pensieri alti e delle prospettive elevate, per cui coloro che fanno le cose in concreto sono certamente utili, ma in posizione ancillare e subalterna rispetto a “chi pensa” come prima cosa?

Tradotto: può essere che chi ha già il compito di “pensare” si astenga dal “fare” proprio perché già reclutato in questo prezioso servizio, e quindi impossibilitato a offrire un ulteriore apporto in termini più propriamente organizzativi?

A questo riguardo, mi sentirei da subito di sgombrare il campo da ogni possibile malinteso o fraintendimento, perché possiamo dire con sicurezza che non ci sono categorie di serie A o di serie B tra le persone volontarie che si dedicano all’animazione della comunità. Infatti, chi pensa a innovare e migliorare le sorti del bene comune di solito è anche molto attivo nel dare attuazione ai progetti, e al tempo stesso chi si dedica alla realizzazione concreta di queste iniziative è anche sempre capace di guardare lontano, di riflettere sulle cose che contano e che sono utili a tutti, di escogitare formule e sinergie efficaci alle quali tutti possono fare riferimento.

Quindi, in definitiva, chi pensa e chi lavora per ideali alti di umanesimo e di cittadinanza sa fare, vuole fare, si mette nella condizione di fare, non accampa scuse per non fare, non si lascia scoraggiare dal cattivo esempio di chi non vuole fare, semplicemente per comodità, ignavia o per strenua difesa dei propri singoli interessi.

Appurato questo, scriviamo queste brevi righe per raggiungere proprio coloro che danno testimonianza del “fare” per gli altri, non a parole, ma nei fatti concreti, senza cedere allo scoraggiamento inevitabile che potrebbe derivare dalle scelte abuliche, sciatte e banali di coloro che si chiamano sempre fuori, non rispondono agli appelli alla partecipazione, sono sempre da qualche altra parte, non si compromettono mai con il cuore e con la vita rispetto a proposte valide per tutti, neanche quando queste richiederebbero un minimo sforzo di solidarietà da parte loro.

Semplicemente, quelli che non fanno hanno scelto altro, probabilmente e unicamente se stessi, la propria autoreferenzialità, i propri comodi, la voglia di non essere coinvolti, la priorità di alcun cose personali rispetto ad altre. E allora, doppia menzione di merito per le persone che fanno, che animano la comunità, che danno il meglio di se stesse per rendere un servizio utile all’intera comunità.

E perché doppio merito? Perché non si stancano mai nelle difficoltà, non danno le dimissioni, non criticano le assenze altrui, non si affliggono per il fatto di essere sempre gli stessi a impegnarsi, e magari in un numero che via via si riduce e patisce magari il fatto che non sempre il ricambio generazionale è garantito. Loro ci sono, sempre, attivi e disponibili con spirito di servizio, di altruismo e di generosità. E con il sorriso, fattore molto importante, perché hanno passione, leggerezza, gratuità, benevolenza, e non si lamentano per quelli che non fanno.

Danno testimonianza, e nulla accadrebbe di buono senza la loro presenza, costante, puntuale, plurale, cementata dallo spirito vero di amicizia, con orgoglio di appartenenza, di radici, di identità in relazione, non limitata o divisiva. Non hanno tempo da perdere: lasciano a “chi non fa” le lamentazioni sterili, le critiche senza costrutto, le lagnanze a getto continuo, improbabili, fastidiose, stereotipate, prive di qualsivoglia sostanza. A “chi fa” noi siamo assolutamente grati, estimatori riconoscenti della loro capacità di lavorare felici per un mondo migliore, di solidarietà e di pace.

(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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