L’era sempre più digitale in cui viviamo ha reso molto più semplice accedere alle informazioni. Il rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che le notizie totalmente o parzialmente false si sono viste aprire – principalmente dal web – strade quasi infinite per essere pubblicate.
Per mettere (almeno) qualche paletto in più alla disinformazione, è al lavoro anche il Governo italiano, che tramite il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega a editoria e informazione Alberto Barachini sta spingendo affinché chi pubblica informazioni lo faccia rispettando un codice etico al passo con i tempi, in grado cioè di chiudere le porte a chi, a vario titolo, semina disinformazione e – a volte, di conseguenza – procurati allarmi, se non di peggio.
Quella contro le fake news è la sfida forse più urgente non solo per chi fa dell’informare una professione, ma per la ben più vasta platea dei “content creators” e delle piattaforme tecnologiche che li ospitano, a maggior ragione in una fase storica in cui l’Intelligenza artificiale è non più il futuro ma il presente.
Al riguardo, vi proponiamo una riflessione dello storico giornalista della Rai Angelo Squizzato.
Fake news, è pane quotidiano, sfornato da cinici fornai con l’obiettivo di disinformarci, di condizionarci, di confonderci, di dominarci. Pensiamo alle continue “balle” che ci propinano su guerre, su economia, su finanza, su situazioni politiche e sociali.
Notizie false, in lingua italiana: dilaganti e infestanti. La storia e le cronache ne forniscono abbondanti esempi: di tutto e di più.
Adesso però si sta esagerando nel farle circolare soprattutto attraverso i social, che si dimostrano terreno fertile per la loro semina e crescita. I più esposti sono i giovani.
Una recente indagine della Commissione europea (Eurobarometro) rileva che ben il 63 per cento dei giovani europei ricevono una fake news più di una volta alla settimana; il 61 per cento degli europei si dichiara di essere stato esposto alla disinformazione online.
Ecco perché contro le notizie false si sta invocando un codice etico che sia punto di riferimento e arma per svelarle e per contrastarle.
Succede sempre così: quando situazioni e comportamenti deragliano si invoca un codice etico o deontologico che rimetta ordine.
Ma servono e sono efficaci, nel nostro caso, un codice o strumenti analoghi? Credo ben poco, salvo essere motivo di studio, di dibattito, di rimedi illusori.
Basterebbe, nel caso del giornalismo, che si rispettasse l’articolo due della legge professionale 69 del 1963: “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di infrazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservato sempre i doveri imposti dalla lealtà dalla buona fede.
Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori”.
Sono passati più di 60 anni dalla legge, nel frattempo c’è stato un fiorire di norme, di carte deontologiche, di codici, tutte belle proposte e iniziative, che però sul piano pratico hanno trovato ben scarsa applicazione, tanto che ancora oggi si invocano nuovi codici e strumenti per combattere la disinformazione che si conferma più forte e aggressiva che mai.
Dal primo giugno di quest’anno, in sostituzione del Testo unico dei doveri del giornalista, è in vigore il nuovo codice deontologico delle giornaliste e dei giornalisti, approvato all’unanimità dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.
Contiene diverse novità, come le regole sull’uso dell’intelligenza artificiale e le norme sull’uso di immagini e dati sensibili per tutelare la dignità delle persone. Avrà efficacia? Mah!
Solo la professionalità e la responsabilità dei giornalisti e dei comunicatori possono fare argine alle false notizie.
Si deve tornare a professionisti dell’informazione che cercano e selezionano i fatti, li verificano, li valutano e li ritengono degni di essere pubblicati.
È illuminante, a proposito, il motto che dal 1896 si legge in prima pagina del New York Times, mitico quotidiano americano al quale hanno guardato generazioni di giornalisti: “All the News That’s Fit to Print (Tutte le notizie che meritano di essere stampate). Notizie, quindi fatti ben verificati, non fantasie, falsità, mistificazioni. Informazione vera, non disinformazione.
Un accenno, infine, alla misinformazione, che non è meno subdola e inquinante della disinformazione. Appartengono a questo genere (se tale si può chiamare) le notizie date in maniera frettolosa, senza le necessarie verifiche. Notizie e comunicazioni poco attendibili, travisate, distorte, forzate, confezionate in modo da influenzare l’opinione pubblica oppure condizionare tendenze, situazioni e comportamenti. Indiscrezioni, semi verità, pettegolezzi, gossip, voci non suffragate, sensazionalismo.
I confezionatori contano molto sulla scarsa alfabetizzazione mediatica della popolazione. Ecco perché, per tutelarsi da tanta e dilagante disinformazione e dalla misinformazione occorre prima di tutto un’educazione ai media vecchi e nuovi, soprattutto ai social. Bisogna coltivare lo spirito critico e la capacità e di filtrare le notizie vere dalle false, seguire media autorevoli, responsabili e possibilmente indipendenti, dietro ai quali ci siano editori affidabili.
(Autore: Angelo Squizzato)
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