Percorrendo la strada provinciale Marosticana in direzione di Casella d’Asolo e osservando il pendio a sud-est della collina di San Martino si nota una fascia di radura disboscata: benché la modifica appaia attualmente come una “macchia” nel panorama delle colline, su quell’area è in atto il ripristino di una porzione di collina che verteva in uno stato di abbandono da circa 25 anni.
Nonostante la proprietà fosse il lascito di una contessa, l’ultimo ad abitarci risulta essere stato un mezzadro, rimasto paralizzato da un incidente. Alla sua morte, essendo lui privo di eredi, l’Azienda sanitaria locale ha potuto rientrare nel lascito e mettere in vendita il terreno, dove ormai proliferavano solo rovi e cinghiali.
Similmente a quanto era successo in passato per l’appezzamento a fianco, dove oggi sorge Ca’ Recantina, (qui l’articolo), ancora una volta l’opera dei privati, con la consulenza degli esperti, potrebbe riportare il paesaggio a un’originalità perduta, portando con sé anche i frutti di questo ritorno: varietà di vitigni capaci di arricchire ulteriormente lo spettro dei prodotti del territorio.
L’area, di circa 5.000 metri quadri, non è certo comoda alla coltivazione, ha una notevole pendenza, ma anche un paio di segreti: “Questa settimana sono stato ad Asolo, ho assaggiato il nettare degli dei e l’ho battezzato Figlio della Roccia” scriveva Luigi Veronelli per il Corriere della Sera. E non a caso: proprio così si chiama il brut (ovviamente Asolo Prosecco Docg) di Asolo Manor, caratterizzato da una mineralità accentuata, dovuta al fatto che le radici delle vigne pescano in una zona di forte matrice rocciosa di conglomerato, con qualche banco di roccia marnosa-calcarea.
L’Asolo Manor descrive così la particolarità di questa zona: “Decisa la matrice calcarea sul terreno, che è poco dotato di sostanza organica, tuttavia molto drenante sia per la forte pendenza che per la bassa percentuale di argilla. Il conglomerato quasi affiorante condiziona in maniera significativa la vite ad approfondire l’apparato radicale per il reperimento dell’acqua e degli elementi vitali, costrizione che sarà significativa nell’apportare al vino aromi e sapidità determinanti”.
Sull’ultima fascia in alto, dove si pianterà in autunno, l’idea è quella di portare qualcosa di ancora più particolare: la Malvasia di Cipro. Pare infatti che la Regina Cornaro, in esilio ad Asolo, avesse fatto piantare quella varietà di viti proprio in quella zona. Compresi nell’appezzamento, vi sono anche due edifici: quello più in alto è destinato all’accoglienza turistica, quello più in basso è una cantina, dove spicca un bel roccolo restaurato.
Gli autori di questo progetto sono gli imprenditori Walter Giovanni Bulla, Giuseppe Bragagnolo e Ruggero Cremasco. Bulla si dichiara da sempre innamorato di Asolo e se non lo fosse stato, probabilmente, non si sarebbe cimentato in quest’impresa: “Un giorno sono andato a bere un caffè al Bersagliere e un mediatore mi ha detto che era in vendita il lascito di una contessa, con due aste che sono andate deserte. Abbiamo realizzato che si poteva fare un’offerta pari alla perizia di stima ed in pochi giorni abbiamo perfezionato l’acquisto”.
Se l’acquisto è stato rapido, tra il 2009 e il 2010, per la proprietà non è stato altrettanto semplice ottenere le autorizzazioni necessarie ai lavori, essendo la zona protetta sotto il profilo ambientale: “Ricevevamo continue visite dei funzionari della Regione, della Sovrintendenza e dei Forestali. Abbiamo fatto tutto come chiedevano: pietra per pietra. Abbiamo avuto una spesa economica altissima, ma l’abbiamo fatto solo per nostra soddisfazione”. Secondo quanto appare anche da una fotografia aerea del 1956 scattata dall’Aviazione militare americana, il ripristino sarebbe riuscito con successo nel pieno rispetto del contesto preesistente.
La difficoltà maggiore sta nell’estrema pendenza della collina, molto difficile da raggiungere anche con i mezzi tecnologici attuali. Per questo motivo la lavorazione del vigneto è ancora condotta interamente a mano dai soci di Asolo Manor e dai loro famigliari esattamente come un tempo.
La gestione biologica complica ulteriormente le dinamiche e la resa del prodotto finito, che per contro è stato considerato da numerose riviste di settore e da rinomati enologi, un Prosecco DOCG di forte tipicità e spiccata personalità.
(Foto: Studio Tecnico Associato Basso).
#Qdpnews.it