Ai piedi del Popera, la resilienza del rifugio Berti. Il gestore: “Scendere? No, quassù ci ho trascorso la vita”

C’è una corona di giganti attorno al Rifugio Berti, una coraggiosa attività a poco meno di duemila metri che si trova ai piedi del Monte Popera, al cospetto della Cima Undici e della Croda Rossa di Sesto.

Il rifugio Popera

Costruito nel 1961 e inaugurato l’anno successivo, il Berti aveva il compito di sostituire il vicino Rifugio Sala, che da stazione militare era stato nominato rifugio nel 1924, funzionando come tale fino al 1960. 

Il rifugio Popera visto dal Belvedere

Oggi quest’ultimo giace abbandonato, col suo stretto terrazzino, ma nel complesso ancora intatto e dignitoso, incastonato nella pietra sopra lo strapiombo. Tutt’intorno a questo teatro di ghiaioni, praticelli e buchi di marmotta, si sviluppano sentieri e ferrate, alcune uniche nel loro genere ma, purtroppo, non tutte percorribili.

Per raggiungere il Berti, gestito prima dai Topran e poi dalla famiglia Martini di Casamazzagno, occorre risalire la Valgrande dal suo cuore, ricco di distese erbose e boschi di faggio, superando quelle che erano le terme (ora non in funzione) e il caratteristico Soggiorno Don Bosco, approdando così al Rifugio Lunelli, anch’esso gestito da un secolo dalla stessa famiglia. 

Da lì, il pianoro da dove svetta la bandiera del Berti sembra quasi un miraggio. Al contrario, il sentiero che, zigzagando, porta al secondo rifugio, non è poi un’impresa così impegnativa e anzi è accompagnata da una serie di piacevoli cascatelle lungo la parete rocciosa. Il sentiero tende a essere più impegnativo in discesa.

La cascatella che si incontra salendo al Berti

A sinistra del rifugio c’è la Piana dei Camosci, mentre più a destra, verso l’ex rifugio Sala, c’è un osservatorio, detto Belvedere Creston Popera. Solo raggiungendo quella posizione, che indica con un pannello le alture all’orizzonte, ci si rende conto per davvero di quanto potesse essere difficile, soprattutto in inverno, pattugliare quelle zone, costruire trincee o posizionamenti, senza alcuno strumento né sicurezza. Era stata quella la vita in guerra di Olivo Sala, al comando di una truppa di scalatori irriducibili: giorni al confine tra attese e fatiche, speranze e dolori.

Il profilo delle montagne viste dal Belvedere

Anche se rispetto a quei tempi presidiare un rifugio può sembrare una passeggiata, per rimanere al Berti durante un temporale o una tormenta di neve, ci vuole coraggio e sangue freddo: negli occhi azzurri di Bruno Martini, con 46 anni di esperienza in rifugio, si percepisce la forza d’animo, la passione, la resilienza di un vero gestore di montagna, che da lassù non scenderebbe mai. Lo stesso vale per Rita, che alcuni definiscono “la colonna portante del rifugio”.

La Forcella che si trova procedendo a destra dal rifugio

“Se ci vuole sacrificio? Sì, ce ne vuole tanto. L’inconveniente c’è sempre e il lavoro non è mai finito, c’è sempre qualcosa che è ancora da fare. Ma è un bello stare qui, all’ombra del Popera. Ci vuol passione per gestire la montagna, ma le soddisfazioni sono tante. E no, non tornerei giù. Ci mancherebbe, sono passati 46 anni: è una vita che sono qua”.

Il Berti è circondato da ampi (e temibili) ghiaioni e nonostante chiaramente il rifugio goda di una posizione sicura, i recenti fenomeni atmosferici non agevolano una gestione tranquilla delle zone nei dintorni. Anche perché l’edificio, se pur spazioso, risulta comunque l’elemento più piccolo e umile nel quadro generale dell’area.

La vista dal Belvedere

Inoltre, c’è da dire che le condizioni climatiche avverse o una manutenzione resa difficile dalle stesse ha comportato la chiusura di alcuni dei passaggi più iconici, capaci di disegnare un anello escursionistico con altri rifugi o località vicini. Per questo la resilienza del rifugio, dove si mangiano piatti di montagna, grappe e deliziose frittelle fatte in casa, al pane o alle mele, merita una visita, ma solo a patto di rispettare la montagna e il suo severo sguardo verso il basso.

Le famose frittelle del Rifugio Berti

Fortunatamente, il rifugio continua a lavorare molto bene sia con clienti stranieri che con italiani, con un personale fedele e preparato: “Per quanto riguarda il personale devo dire che noi siamo stati fortunati – spiega Bruno, il gestore, accarezzando il suo cane Spritz, – Abbiamo diversi giovani che vengono da fuori, giovani che sentono il bisogno di scappare dalla città e rifugiarsi in montagna. Una volta lavoravamo con la gente del posto e con gli studenti delle università. Questi ultimi stanno diminuendo, ma la passione per la montagna, quella la vedo ancora”.

La vista dal terrazzo del Berti

(Foto: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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