“Il grande passo” di Antonio Padovan nelle sale mercoledì: un regista che crede ancora nella forza del cinema

Ho pensato, scritto e girato il mio ultimo film “Il grande passo” immaginandomelo proiettato davanti a un gruppo di sconosciuti che vivono assieme un’esperienza collettiva: quel qualcuno in platea che non conosci ma che piange o ride come te. Insomma, quella roba lì”: con queste parole Antonio Padovan (nella foto), regista coneglianese, riassume la sua passione per l’autentico concetto di cinema, che va in controtendenza alla fruizione privata proposta dalle piattaforme streaming.

È stata una passione e oggi un lavoro, il cinema, che è nato prima di tutto dalla volontà, forse persino dall’esigenza, di raccontare storie: fin da bambino Antonio disegnava dei fumetti, antenati degli storyboard che ancora oggi si fa da solo. E queste narrazioni addirittura le vendeva per comprarsi la merenda, cosa che, in un certo senso e in proporzioni differenti, fa ancora oggi.

Nonostante l’influenza che può aver avuto il territorio nella crescita professionale di Antonio, specialmente nel proseguo della sua carriera con un gioco di nostalgia e di distacco, sono stati gli Stati Uniti a dargli l’opportunità di mostrare il suo talento: nello specifico, mentre lavorava in uno studio di architettura a New York, Antonio ha iniziato a frequentare dei corsi di regia, dove ha stretto amicizia con professionisti che avevano già avviato le loro prime produzioni.

Alimentandosi di pane e Woody Allen, ma non solo, Antonio porta a casa i primi premi, le prime pubblicità e i primi cortometraggi oltreoceano, alcuni dei quali appartengono al genere horror.

“Jack Attack”, per esempio, che negli Stati Uniti ha partecipato a un centinaio di festival e ha ottenuto diverse riconoscenze ha permesso a Padovan di farsi notare ancora una volta. “Capita spesso che la buona riuscita di commedie e film drammatici sia in mano agli attori – racconta il regista, – Gli horror, oltre a essere molto divertenti da fare, sono meno costosi e permettono al regista di mostrare a pieno il proprio sguardo”.

Anche se la professione di Antonio è nata all’estero, è difficile parlare di cinema nell’Alta Marca senza citarlo: “Finché c’è prosecco c’è speranza” è il suo primo lungometraggio, ispirato al noir di Flavio Ervas e ambientato proprio tra le Colline del Prosecco. Padovan confida di essersi immedesimato nel protagonista, Stucky, per il modo con cui interagisce con una terra che non gli appartiene più, ma che lo lascia stupito.

“Era la prima volta che adattavo un libro a un film: Fulvio era così propositivo che io e Marco Pettenello, lo sceneggiatore che ci ha aiutati nella trasposizione, dovevamo costringerlo a tenere un dettaglio del suo stesso romanzo, mentre lui diceva di cambiarlo” racconta Antonio: la sua teoria è che il rispetto di una storia rimanga dopo una trasposizione solo quando se ne conserva l’essenza, anche a patto di cambiarne la forma.

“Il grande passo”, ultima pellicola di Padovan, in uscita in tutti i cinema questo mercoledì 20 agosto e in premiere questa sera, lunedì 17 agosto, non è stata pensata per essere immagazzinata in un genere: “A tratti fa ridere, a tratti fa piangere e va bene così” dice il regista. È la storia di Dario e Mario, due fratelli simili e opposti, che si svolge in verticale tra cassonetti della spazzatura e astronavi, Roma e Veneto, trattamenti sanitari obbligatori e sogni nel cassetto.

Non privo di influenze internazionali, con un approccio italiano, uno sguardo distaccato ma lievemente nostalgico, il tratto di Antonio Padovan nel “disegnare” le sue pellicole dà certamente coraggio ai cineamatori e a tutti coloro che aspirano a diventare professionisti in questo complesso mestiere: “Io credo che il cinema ogni 20 anni sia dato per spacciato – conclude il regista – e poi, in qualche modo, si salva”.

(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it). 
(Foto e video: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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