“Nei Comuni manca l’ufficio ‘Qui si pensa’”: la ricetta di Bruno Barel per valorizzare le colline Unesco e le aree dismesse intercettando gli investimenti

“Non solo Prosecco”: con queste parole l’avvocato e docente universitario Bruno Barel ha voluto iniziare la sua riflessione sulle strategie di valorizzazione del sito Unesco delle Colline di Conegliano e Valdobbiadene.

In un’intervista concessa a Qdpnews.it poco prima della nuova risalita dei contagi da Covid-19, Barel aveva condiviso alcuni aspetti che ritiene essenziali per il rilancio di quest’area della Provincia di Treviso dopo la pandemia.

“Il grande tema della modernità e la grande sfida per la politica è di evitare il monotematismo – spiega l’avvocato Barel -, perché questo territorio è troppo ricco di cultura, di persone e di paesaggio per essere ridotto a un unico argomento che alla fine diventa, se non noioso, sviante. La gente comincia a pensare che qui si beve e basta. Si beve e si produce vino, è vero, ma c’è tanto di più: allora tutta la discussione sull’Unesco è un po’ ridicola. A parte il fatto che molti non sanno cosa sia l’Unesco, non ne hanno mai sentito parlare. È diventato uno slogan che suona bene e fa effetto”.

“In realtà un territorio è attrattivo perché soddisfa tante esigenze e parla a tutti – prosegue – È un territorio dove si beve e si mangia bene ma si incontrano anche persone perbene, si vanno a vedere opere d’arte, si fa sport e si fanno giri in bicicletta. Qui il grande tema è presentare al mondo un territorio nella sua ricchezza e nella sua storia e non un prodotto, che è link, l’aggancio che ci aiuta ad entrare in contatto con il mondo. Ma dopo basta. Invece ho l’impressione che ci si aggrappi a tutto ciò che fa effetto, che diventa mediaticamente attraente, e che si lavori poco sull’allargamento dell’orizzonte e sull’offerta di prodotti diversi per palati un po’ più raffinati”.

L’avvocato Barel ha fatto l’esempio del turista che scende con la sua bicicletta da un treno nella stazione a Conegliano, senza nascondere il sogno che questa persona possa trovare fuori dalla stazione tutto quello che gli piace.

“Chi va in aereo non conosce la differenza fra Cison di Valmarino, Miane e Valdobbiadene – aggiunge -, vede un territorio e quindi sa che ci sono le colline, che può vedere boschi e filari ma vede un territorio. La frammentazione amministrativa è un retaggio del passato che serve positivamente soltanto perché crea identità e senso di comunità ma per tutto il resto è un limite. Bisogna superare tutto questo e creare un sistema territoriale dove la gran parte delle cose si fanno insieme perché il luogo è comune”.

Il docente universitario ha sottolineato che serve un diverso modo di fare amministrazione: “Nei Comuni ci deve essere l’unico ufficio assente e l’unico importante, quello che sulla porta ha la scritta: ‘Qui si pensa’. Nei Comuni manca questo ufficio perché c’è solo l’ufficio ‘Qui si fa, si timbra, si decide’. C’è l’ufficio del fare ma in realtà l’utilità della politica oggi è essere visionari, essere strateghi e pensare in grande. E questo ufficio non c’è, ma non per l’insipienza di molti amministratori, perché sono travolti dalla quotidianità e per pensare in grande occorre anche il tempo oltre a chi ti aiuta e ti stimola a farlo”.

L’avvocato Barel sostiene che la morsa delle urgenze stia togliendo attenzione al vero valore da perseguire: la visione strategica.

“Nel nostro territorio ci sono multinazionali che stanno comprando aziende agricole, cantine o solo brand perché vedono un processo di crescita del valore e la loro disponibilità finanziaria le porta ad appropriarsene – continua – Dato che il valore è molto legato alle persone e alla loro storia, nel momento in cui separi questo apparente valore dalle sue radici, secondo me spezzi una grande opportunità. Bisogna riuscire a condividere con gli operatori del territorio la convinzione che non debbono svendere il territorio, tagliando il rapporto con le radici”.

Sentire, come dice Barel, un forte accento tedesco in molte cantine è un segnale che va capito e interpretato correttamente per farsi trovare pronti davanti alle nuove sfide portate dalla globalizzazione.

“La ripresa è partita e in alcune aree ha già utilizzato i manufatti abbandonati – conclude il docente universitario parlando delle aree dismesse -, che quindi hanno trovato una nuova giovinezza per così dire. In altri luoghi, come Vittorio Veneto, non è successo questo perché non ha una vitalità imprenditoriale come invece si riscontra a Pieve di Soligo o Oderzo, dove c’è un tessuto molto diverso. Vittorio Veneto ha avuto un grande tessuto industriale in passato ma non è arrivato alla seconda generazione. È morto con lo spostamento della viabilità e degli investimenti su Conegliano, e quindi si è svuotato. Ha perso poi i militari che erano una delle grandi risorse strategiche”.

Barel ha detto che Vittorio Veneto è l’unica cittadina di sua conoscenza che ha un aeroporto, due caserme, un circolo ufficiali, un Comando di Corpo d’Armata e tanto altro in stato di abbandono da decenni, senza dimenticare l’Italcementi e altre vecchie fabbriche lungo il Meschio.

“Noi abbiamo un cimitero di una storia già finita che nessuno riesce più a ricollegare al futuro – conclude – Esistono molti investitori, sia industriali sia operatori finanziari, che hanno alcuni punti fermi: vogliono certezze di regole e tempi oltre ad un prodotto di alto profilo. Hanno bisogno anche di presenza di popolazione e di vivacità del tessuto economico. Questo non c’è in una realtà dove l’età media è di 50 anni. Il problema dei problemi è riportare gente giovane a vivere nel territorio, spiegando perché ne vale la pena e creando occasioni di lavoro”.

La strategia di Barel parla di attrattività sul piano imprenditoriale, e di conseguenza attrattività per i residenti e per i giovani, per poter ribaltare una decadenza storica e avviare un processo positivo per tutti: “Questo richiede una cosa con la P maiuscola, che si chiama Politica”.

(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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