Quando Tarzo accolse i profughi di Mosnigo nell’anno dell’invasione: il diario di don Angelo Frare

Anche se il centenario della Grande Guerra è passato da ormai sei mesi, continua a rimanere alta l’attenzione per questo tema così sentito nell’alto Trevigiano e in tutto il Veneto. Anche i Comuni di Moriago della Battaglia e di Tarzo hanno deciso di lasciare un segno, un ricordo tangibile del passato doloroso dei propri avi, vittime dell’occupazione austro-ungarica e tedesca tra il 1917 e il 1918. È con questo spirito che giovedì prossimo, 16 maggio, a villa Tandura-Mondini dalle ore 21 sarà organizzato un incontro culturale molto importante, un abbraccio fraterno tra i due Comuni trevigiani a cent’anni dall’anno della fame. I due Comuni, infatti, ospiteranno gli storici Innocente Azzalini e Giorgio Visentin, che presenteranno il libro “Da Mosnigo a Tarzo nell’anno dell’invasione: diario di don Angelo Frare 1917-1918”.

Un racconto molto umano, tratto dai ricordi manoscritti del parroco di Mosnigo, che il 14 dicembre 1917 guidò i suoi concittadini a Tarzo, lontano dalla prima linea del Piave, dando così inizio all’anno di profugato nelle terre invase dal nemico. Don Angelo, nato a Fregona nel 1883, fu titolare della parrocchia di Mosnigo di Moriago della Battaglia dal 1911 al 1947 e raccontò quell’orribile anno con minuzia di dettagli, a volte taglienti, dato che la sorte dei profughi del Piave furono la fame e il forte astio con le persone che li ospitarono spesso malvolentieri per la grande scarsità di viveri.

La popolazione di Mosnigo era destinata a Tarzo – scrive don Angelo – verso le ore 5 antimeridiane del 14 dicembre i carri cominciarono a schierarsi lungo la strada con poca roba, con pochissimi viveri e con la popolazione divenuta stupida ed insensata, e fu una fortuna, perché così non poté comprendere la gravità tutta, il peso grande dello sgombero con le sue conseguenze. Ci vollero sei ore per giungere a Solighetto, tratto di strada che si fa comodamente in due ore a piedi. Quivi giunti dovemmo fermarci parte nei campi e parte nel piazzale della Chiesa. Si passò la seconda notte all’aperto, il tempo era buono. La mattina ripartimmo e quando tutta la lunga colonna fu avviata, io la sorpassai tutta ed al bivio Lago Tarzo scelsi tutti i carri che dovevano seguirmi a Tarzo, ove io rimasi fino alla liberazione”.

profughi tarzo mosnigo

Ed ora come si fa a narrare la dolorosa storia, il duro e terribile calvario di un anno? – continua il parroco di Mosnigo – Ho fatto tutti i mestieri, ho sostenute dure fatiche, ho affrontati pericoli, ho lavorato giorno e notte, ho sofferto umiliazioni penosissime, tutto quello che fu possibile ottenere dal Comando austriaco, tutto passò per le mie mani: pane, farina, granoturco, sale, carne bovina, carne di cavallo, ecc. In Tarzo vi erano ben due mila profughi appartenenti a Segusino, Valdobbiadene, S. Pietro, S. Stefano, Guia, Bigolino, Vidor, Colbertaldo, Mosnigo, Col San Martino, Moriago, Pieve di Soligo. Con l’arciprete locale fu divisa la cura religiosa e le fatiche materiali per la distribuzione dei viveri, salvo sempre ad aiutarsi a vicenda e ad accordarsi nelle domande da farsi al Comando. Il Parroco dei profughi da una parte, aiutato da profughi, e dall’altra il Parroco locale, coadiuvato delle migliori persone del paese. La posizione mia fu criticissima: dovevo difendere i profughi dal nemico e dagli abitanti, mi trovavo spesso tra l’incudine ed il martello. Ben lo si comprende che il profugo non portava vantaggi, ma solo danni, ma è ben vero che in generale eravamo poco compatiti”.

Una serata, quella di giovedì 16 maggio a Tarzo, che si preannuncia ricca di emozioni e che riavvolgerà ancora una volta il nastro della storia per farla conoscere soprattutto alle giovani generazioni.

(Fonte e foto: Luca Nardi © Qdpnews.it).
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