Dalla progettazione di giardini alle icone sacre, la scelta di vita dell’iconografa Mara Zanette

Lavori su commissione e corsi di iconografia, la vita di Mara Zanette, trevigiana doc, si divide tra le lezioni alla sessantina di corsisti che nel tempo si sono uniti a lei per curiosità o passione, e il laboratorio tra le mura dell’oratorio di Santa Maria Maggiore, a Treviso, pieno zeppo di foglie d’oro, polveri di minerali e… uova. Sì, perché è proprio il tuorlo d’uovo il componente base che serve per creare le tempere utilizzate nell’iconografia sacra, l’antica arte di dipingere figure della tradizione della chiesa e della parola di Dio sulle più diverse superfici, dalle tavole ai muri delle chiese, agli oggetti molto piccoli. Arte di cui Mara ha fatto non solo una professione, ma un vero e proprio stile di vita.

“Sto dipingendo un’icona, e lo sto facendo pregando”, sono queste parole, pronunciate da una sua compagna di classe ai tempi del liceo artistico, ad aver incuriosito l’allora sedicenne Mara: “Mi è sembrata una cosa assurda, ma mi ha affascinata – racconta l’artista -. All’inizio si pensa che le icone siano soltanto una decorazione, si viene attratti dalla tecnica, dalle foglie d’oro, dai meravigliosi colori delle polveri di terre e minerali, come le ocre, l’arsenico o il lapislazzulo, e dal fatto che si debbano legare con il tuorlo d’uovo. Poi, se si desidera approfondire, si scopre che l’icona è relazione con quello in cui si crede e con il mistero che rappresenta, e che bisogna mettersi a studiare”.

Sopra al bancone ha bibbia e corano: sta studiando entrambi per raffigurare nel modo adatto un’icona commissionatale da una coppia mista, lei musulmana e lui cattolico: “Dipingere un’icona richiede un’indagine approfondita delle immagini dello stesso periodo o successivi per poter ricostruire il più fedelmente possibile l’opera prima: non si è mai originali, nel tempo si cerca di evolversi senza tradire il messaggio autentico – spiega -. Dopodiché arriva l’aspetto artigianale: con l’aiuto di un falegname si scava e intaglia la tavola, poi la si gessa con il gesso di Bologna e la colla di coniglio… è un procedimento laborioso. E sì, mentre si dipinge in determinati tempi si prega, anche se, quando si gratta il gesso, non sempre viene da pregare!”.

Ma la vita di Mara non è sempre stata dedicata all’iconografia. Per molti anni ha avuto un rapporto di collaborazione lavorativa con la scultrice Maria Pia Fanno Ronconi, iniziato quando aveva diciassette anni e continuato fino alla scomparsa dell’artista. Ha avuto cura degli allestimenti delle sue mostre, a partire dall’ottobre del 1989 a Buenos Aires, anno in cui si è diplomata in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Venezia, fino all’allestimento al museo Bailo e Casa Robegan di Treviso, nel 2020. Ha inoltre collaborato per circa dieci anni con lo Studio di Architettura Avogardo di Treviso, occupandosi di restauro architettonico, arredamento e progettazione di giardini. La curiosità nei confronti dell’iconografia però è sempre rimasta dentro di lei, come un germoglio, accantonata fin a quando ha deciso di frequentare un corso intensivo del maestro Fabio Nones a Trento, dove ha imparato a dipingere le icone: “All’inizio è stato un parallelo, poi tutto si è unito: amavo il mio lavoro e mi dedicavo all’iconografia a tempo perso, ma più frequentavo e approfondivo quest’arte più sentivo che ne ero fortemente attratta e che potevo abbandonare la mia vita per dedicarmi solamente a questo, come per una sorta di vocazione. È stata una scelta molto forte, che ha stupito anche me – racconta con gli occhi ancora increduli -. Non cercavo un cambiamento e nei miei progetti c’era tutt’altro… magari sarei finita a disegnare Cubi di Rubik d’oro per gli arabi, nel mio immaginario c’era anche questo”.

“L’icona è molto educante, ha dei tempi assolutamente lunghi e perciò la pazienza è messa a dura prova – ci spiega l’artista, mostrandoci l’opera che ha in cantiere e che richiederà circa due mesi per completarla –. Non è facile reperire i colori e i costi sono spesso elevati: un lapis dall’Afghanistan, il più prezioso, può arrivare a 150 euro all’etto. Il costo di un’icona – si va dai 1.000/1.200 euro in su – può apparire elevato, ma spesso non si comprende il lavoro che c’è dietro: i committenti scarseggiano, le persone seguono la via del mercante perdendo il significato dell’opera. In commercio si trovano anche stampe o icone dipinte secondo tecniche non corrette. Gli iconografi non si firmano perché le opere sono della Chiesa: un lavoro si riconosce dal tratto o da come si stende il colore. Con il tempo si impara a notare le differenze, facendoci l’occhio”.

“Siamo molti ad essere appassionati di iconografia – conclude Mara -. Alcuni di noi sono professionisti che lo fanno di mestiere, molti altri divulgano per passione. Alla fine sarà la storia a dire quanto importante sia quest’arte antica, quanto lo è stata in passato e quanto lo sarà in futuro”.

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata). 
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