Vittorio Veneto, la rivolta dei commercianti: “In piazza per far sentire la nostra voce e raccontare i nostri sacrifici”

La rivolta dei piccoli commercianti parte da Vittorio Veneto lunedì 4 maggio, come ha confermato sulla pagina Facebook appena formata “Negozianti di Vittorio Veneto in piazza” la portavoce Giulia Brait: “Scendiamo in piazza davanti al Municipio alle ore 10 per far sentire la nostra voce, per raccontare dei nostri sacrifici, rimanendo uniti”.

L’adesione pare ormai molto numerosa. Si tratta di un insieme di persone “riunite per una necessità comune: salvare le nostre attività commerciali e artigianali”.

Tutto ovviamente è nato dal Dpcm firmato l’11 marzo dal presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, per fronteggiare il contagio da Coronavirus: “Abbiamo obbligatoriamente dovuto chiudere le nostre attività senza un minimo di preavviso – spiegano nel gruppo – . Non siamo stati e non siamo tutelati in quanto le nostre spese continuano ad incombere e siamo stati umiliati con la possibilità di richiedere 600 euro, che dovrebbero essere il contentino del nostro sudore e dei nostri anni di sacrifici. Ci vengono imposte direttive per quanto riguarda i dispositivi di protezione individuale da persone che, dietro una scrivania, decidono all’interno della nostra attività cos’è più giusto fare o non fare”.

All’iniziativa ha subito dato l’adesione l’associazione Su la Testa Vittorio Veneto di Michele Toffoli: “Non possiamo svelare come si svolgerà la manifestazione – spiega Toffoli – ci teniamo a chiarire che non è politica, non ha colorazione, ma per far capire che siamo stati lasciati soli. È una cosa seria perché effettivamente nessuno sta alzando la voce per far capire che stiamo sparendo tutti”.

“Delle circolari – continua Toffoli – non ce ne facciamo nulla, non c’è stata alcuna altra azione forte. Sarà una manifestazione per non morire: qualcuno non si è reso conto che dietro ad ogni commerciante c’è una famiglia, e la maggior parte sono giovani partite Iva che si sono messe in gioco invece di prendere il reddito di cittadinanza o rubare. Noi siamo molto preoccupati per una situazione economica ormai tragica, e vogliamo far capire in modo intelligente e pratico cosa succede se ogni attività chiude e sparisce: questa gente in qualche modo dovrà mangiare. Ricordate, la quarantena ha chiuso le nostre attività, ma non il nostro cervello!”.

Giulia Brait poi nella pagina Facebook racconta di una situazione al limite della disperazione anche tra i negozianti: “Nessuno ci è venuto incontro nelle nostre spese continue e nell’ aiutarci a mettere del cibo sulle tavole delle nostre famiglie e dei nostri dipendenti se non con dei ridicoli 600 euro che neanche tutti hanno ricevuto”.

(Fonte: Fulvio Fioretti © Qdpnews.it).
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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