Le nostre capacità sono state spesso acquisite in un passato che non esiste più, rendendo necessario un atteggiamento di apertura per cogliere i cambiamenti: è una realtà che risuona e dobbiamo essere capaci di ascoltarla.
Alcune parole non passano certo di moda, ma subiscono un destino carsico: si inabissano nella dimenticanza e poi, periodicamente, riaffiorano alla memoria. Una di queste parole è certamente “competenza”: rappresenta una qualità sempre ricercata, intendiamoci, ma a volte è oscurata dai clamori, dal sapersi presentare, da ingannevoli curricola, da esperienze discutibili. È prepotentemente tornata di moda, essendo legata al mondo tecnico, al saper fare, al dover affrontare mondi specializzati, come ci è purtroppo capitato ultimamente con la pandemia. E riaffiora anche nel mondo economico, nel calcolo costi-benefici, nei sussidi o negli investimenti, nelle aperture o nei ristori, nel piano di spesa fatto di risorse mai viste in precedenza.
Mi ricordo che non molto tempo fa (ma in certi contesti avviene anche ora) si sceglievano le persone, i collaboratori, non per la competenza, ma per l’affidabilità, per la reputazione. Se le persone erano giovani e alle prime armi, ci si affidava non alle loro esperienze, ma alla reputazione familiare o al buon nome e all’immagine positiva che avevano all’interno di una comunità. Poi ci pensava l’esperienza diretta sul lavoro a costruire la competenza specifica necessaria.
Facendo appello alla mia esperienza di formatore, potrei dire che la formazione non vuole significare dominio del mondo, ma trasformazione della relazione con il mondo. Mi spiego. Le competenze molto spesso sono acquisite in un passato che non esiste più, che non esiste perché siamo sempre proiettati nel futuro, siamo senza un presente nel quale soffermarci a riflettere, a mettere le cose in ordine. Certo che rimane la capacità intoccata di dominare alcuni fenomeni di base, la struttura forte di certe situazioni. Ma la competenza è continuamente e fortemente sollecitata dall’accelerazione della vita, dei rapporti, del mondo.
Per questa ragione alla competenza fondativa deve essere affiancata la capacità di vibrare con il mondo, di essere aperti, di sapere ascoltare la realtà che risuona. La formula nuova è la competenza flessibile, quella capace di abbandonare certezze per abbracciare nuove strade, consapevoli degli immancabili orizzonti di rischio che si profilano.
Abbracciare la flessibilità significa essere attenti alle miriadi di onde che sono lanciate negli stagni del progresso e lasciare alla competenza e all’esperienza il ruolo di selezionare le migliori adozioni.
Una volta i parroci, che sono stati i migliori navigator di sempre, presentavano alle imprese i ragazzi delle parrocchie: bravi ragazzi da formare. Ora il rapporto è cambiato: i social presentano ragazzi sovraccarichi di immagini, di nomi in inglese, di esperienze roboanti, che non sono compensate da un’identità profonda, consistente soprattutto nella capacità di essere con gli altri e di riportare le mille sollecitazioni a una dimensione di senso. Credo che formare sia proprio questo, produrre una bella sintesi tra sviluppo delle competenze e capacità di risonanza.
Mentre scrivevo, il pensiero correva a questa doppia identità tecnica e politica del nuovo Governo, all’interno del quale, in teoria, dovrebbero ben sintonizzarsi nell’azione la competenza e la capacità di ascoltare il mondo. Vedremo e speriamo.
Autore: Anselmo Castelli – Sistema Ratio Centro Studi Castelli Srl
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