Dimissioni in prova: possibile la revoca

Con ordinanza 11.09.2025, n. 24991 la Corte di Cassazione interviene sul delicato tema delle dimissioni in prova e, più in particolare, sulla possibilità di revoca.

Come noto, l’art. 26 D.Lgs. 151/2015 ha subordinato la validità delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali alla presentazione delle stesse tramite un modulo telematico (c.d. “dimissioni telematiche”), prevedendo anche la possibilità di revocarle entro 7 giorni dalla data di trasmissione: tale norma è stata commentata dal Ministero del Lavoro con la circolare 4.03.2016, n. 12.

In premessa, è necessario ricordare come l’art. 26, c. 7, inoltre, abbia indicato dei casi specifici di esclusione: oltre alle dimissioni soggette a convalida, infatti, la disciplina non è applicabile al lavoro domestico, alle dimissioni o alla risoluzione consensuale intervenute nelle sedi protette, nonché ai rapporti con le P.A.

L’ordinanza 11.09.2025, n. 24991 ha messo nuovamente al centro tale delicata tematica, fornendo spunti molto importanti in materia: in particolare, è stato esaminato il caso di un lavoratore che aveva rassegnato le dimissioni dopo un solo giorno di lavoro, per poi revocarle telematicamente entro il termine previsto.

L’azienda ricorrente sosteneva che l’inapplicabilità dell’art. 26 alle dimissioni in prova comportasse anche l’inefficacia della revoca da parte del lavoratore: rispetto a questo, però, per la Corte, la ratio del D.Lgs. 151/2015 era ed è soltanto quella di garantire l’autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore, nonché di contrastare il fenomeno delle c.d. “dimissioni in bianco”, mentre quella del patto di prova mira soltanto a tutelare l’interesse comune di verifica del contratto.

Oltre a questo, come detto, l’art. 26 D.Lgs. 151/2015 nulla aveva disposto, in termini di inapplicabilità della procedura telematica, in merito alle dimissioni durante la prova: tale ipotesi derogatoria, non prevista, dunque, dalla norma primaria, era stata infatti introdotta dal Ministero del Lavoro proprio con la summenzionata circolare.

Secondo la Corte, le circolari ministeriali costituiscono “atti interni all’amministrazione, diretti a uniformare l’azione degli organi amministrativi subalterni…” che non creano diritto e che non possono “limitare il cittadino o vincolare l’interpretazione giudiziale”: ciò stante, secondo gli Ermellini, la circolare n. 12/2016 addirittura “si sarebbe spinta, invero, fino al punto di conferire alla norma contenuti diversi rispetto al suo dato testuale, andando oltre una mera attività interpretativa”.

Considerato quanto sopra, dunque, la Corte ha ritenuto pienamente valida ed efficace la revoca delle dimissioni del lavoratore durante il periodo di prova, avvenuta entro il termine di 7 giorni previsto dalla norma.

Ripristino del rapporto – Il ricorrente aveva inoltre contestato l’ordine di ripristino del rapporto di lavoro in prova, avanzando l’ipotesi di risarcimento del danno.

Anche in questo caso, però, la Corte ha confermato il ripristino del rapporto, in quanto, stante la legittimità e l’efficacia della revoca, le dimissioni sono state considerate come mai avvenute.

Dovendosi, quindi, considerare il rapporto di lavoro come mai interrotto, lo stesso dovrà necessariamente essere ripristinato nella sua interezza, inclusa la fase di prova, che, peraltro, nel caso di specie “non aveva avuto un effettivo svolgimento a causa delle dimissioni tempestivamente revocate”.

Ricadute operative – Come riportato nell’ordinanza stessa “l’ordine di ripristino del rapporto di lavoro in prova non pregiudica la facoltà delle parti di valutare la reciproca convenienza al termine dell’esperimento, una volta che esso abbia avuto una durata sufficiente”.

Nella sostanza, il rapporto riprenderà da dove era stato interrotto e durante il rimanente periodo di prova, le parti (datore e lavoratore) potranno comunque valutare l’opportunità di recedere.

Per quanto concerne la parte datoriale è evidente come l’eventuale recesso dovrà avvenire solo a seguito di accurato accertamento circa la correttezza della prova, intendendo con questo sia la presenza di forma scritta sia l’indicazione puntuale e specifica delle mansioni oggetto di prova nonché, appunto, la sufficienza della durata del periodo di valutazione del dipendente.

(Autore: Mario Taurino – Sistema Ratio)
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