Dimissioni per fatti concludenti: in arrivo regole certe

Dimissioni per fatti concludenti: in arrivo regole certe

Il DDL varato il 1.05.2023, ora all’esame delle Camere, tra le varie disposizioni, contiene una norma destinata a contrastare la pratica delle dimissioni per fatti concludenti, con il quale il lavoratore si assenta illegittimamente in attesa del licenziamento che gli consente di ottenere la NASpI.

Il rapporto di lavoro subordinato può essere risolto per dimissioni o per accordo consensuale tra le parti esclusivamente ricorrendo alle procedure previste dalla legge oppure presso le sedi assistite, a pena di inefficacia dell’atto (art. 26 D.Lgs. 151/2015), come peraltro ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza 26.09.2023, n. 27331. Tale procedura ha il duplice scopo di assicurare la certezza della cessazione del rapporto di lavoro e, al contempo, garantire la genuinità della decisione del lavoratore che recede senza costrizioni.

Di fatto, la normativa introdotta nel 2015, prevede l’utilizzo di un’apposita procedura telematica e il lavoratore può provvedere personalmente alla trasmissione delle dimissioni oppure tramite soggetti abilitati, ossia patronati, organizzazioni sindacali, commissioni di certificazione, enti bilaterali, consulenti del lavoro e sedi territoriali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. La ratio della disposizione è contrastare la prassi delle “dimissioni in bianco”; tuttavia, ciò ha comportato diversi problemi applicativi, soprattutto nelle ipotesi in cui la risoluzione del rapporto di lavoro avvenga per fatti concludenti.

Come noto, il lavoratore ha diritto alla NASpI a condizione che la perdita del posto di lavoro sia involontaria, quindi l’indennità non spetta in caso di dimissioni volontarie né in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (tranne il caso di risoluzione nelle sedi conciliative obbligatorie).

Ciò posto, da qualche anno, tra i lavoratori si è diffusa la pratica di ricorrere ad assenze strategiche o, peggio, alla sparizione definitiva dal posto di lavoro per indurre il datore a comminare un licenziamento disciplinare che garantirebbe il diritto all’indennità di cui sopra. Tale artificio, oltre a essere attuato in frode alla legge per l’indebito pagamento effettuato dall’Inps, è causa di notevoli disagi per il datore di lavoro, il quale si ritrova spesso a rincorrere il lavoratore che non fornisce alcuna giustificazione, rendendosi finanche irreperibile.

Si aggiunge che oltre all’incertezza generata dal comportamento del lavoratore e alle ripercussioni negative sull’organizzazione dell’attività aziendale, l’attivazione della procedura disciplinare per assenza ingiustificata, fino alla sanzione espulsiva del lavoratore, causa al datore di lavoro una serie di costi anche rilevanti: in primis, il costo da sostenere per la ricerca di personale in sostituzione dei lavoratori assenti al fine di garantire la normale attività, a cui si aggiunge il costo (e la beffa) di dover versare all’Inps il c.d. ticket licenziamento che, nel 2023, può raggiungere l’importo massimo di 1.809,30 euro per i lavoratori con un triennio di anzianità.

Orbene, per risolvere il problema e contrastare tali abusi, il disegno di legge in materia di lavoro al vaglio del Parlamento prevede che, in caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di detta previsione per assenze superiori a 5 giorni, il rapporto si intende risolto consensualmente per volontà del lavoratore e non trova applicazione la disciplina relativa all’indennità di disoccupazione NASpI.

Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Mario Cassaro
 – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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