Enti religiosi e opere sociali di fronte alle sfide del futuro

Qual è l’atteggiamento da tenere da parte degli Enti religiosi, rispetto alle sfide sociali ed economiche che attraversano le società e coinvolgono anche le opere sociali gestite dagli Enti religiosi?

I cambiamenti sociali in atto, a tutti i livelli, non risparmiano gli Istituti religiosi. E, forse, non è più sufficiente una razionalizzazione del sistema esistente (che va dalla programmazione a una gestione controllata delle attività), ma, in questo tempo, non bisogna avere paura di andare verso forme gestionali nuove che partano da un approfondimento del rapporto tra finalità istituzionali (missione) e mezzi per raggiungerle (attività), privilegiando al contempo la formazione di strutture leggere e flessibili, che, al limite, possono essere rapidamente messe in discussione senza grandi rischi patrimoniali. Basti pensare al tema degli immobili dismessi e abbandonati perché non hanno mercato, o, comunque, non si possono riconvertire ad altre destinazioni.

In questa ottica, va rivista la convinzione piuttosto diffusa nell’ambito degli enti religiosi, che per potere liberamente ed efficacemente esercitare la propria missione apostolica sia necessario avere la proprietà delle strutture in cui i servizi sociali vengono svolti.

Occorre, invece, mettersi nell’ottica di privilegiare l’esercizio dell’attività, piuttosto che preoccuparsi di patrimonializzare le Opere oltre i limiti necessari per lo svolgimento dell’attività istituzionale dell’Ente.

Ovviamente, la soluzione ai problemi proposti sopra, non può essere quello di abbandonare il campo, vendendo (o svendendo) i patrimoni faticosamente costruiti nel tempo e di seguire la via di una sorta di “irizzazione” strisciante che sta consegnando (a volte a poco prezzo) gloriose Opere fondate e gestite da religiosi ad altri soggetti (profit o non profit) disposti a rilevarle: non so, tra l’altro, con quali garanzie circa la continuità del proseguimento dell’attività svolta, quantomeno nel medio-lungo periodo, e, più ancora, degli interessi originari dell’Ente.

Occorre sperimentare altre vie, quali, ad esempio, quelle di fare rete con altri soggetti (non lucrativi e lucrativi), cui affidare la gestione di determinati servizi. Si può pensare non solo ad altri ordini religiosi, ma anche a fondazioni o associazioni di ispirazione cristiana che operano sul territorio per dare vita o a nuovi soggetti o a un consorzio di enti già esistenti per cercare di unire le forze in vista del perseguimento di un obiettivo comune, apportando ognuno la propria specificità nell’ottica di ottimizzare il rapporto costi-benefici.

Si possono anche coinvolgere, a vario titolo, in un rapporto di partenariato, società che diano il loro contributo nell’attività, ma non interferiscano nella gestione delle Opere. Non intendiamo riferirci solo ai donatori o alle sponsorizzazioni tecniche nell’ambito del patrimonio storico-artistico, spesso assai ricco degli enti religiosi, ma anche a rapporti di collaborazione tra profit e non profit che, specie in un prossimo futuro, riteniamo inevitabili se si vuole mantenere in certi settori (es. sanità) il pluralismo pubblico-privato oggi esistente.

A questo punto, per concludere, ci sembra utile riportare alcuni punti contenuti nelle “Linee orientative per la gestione dei beni negli Istituti di vita consacrata e nelle società di vita apostolica” emanate dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, relative sia alla gestione ordinaria delle comunità e delle Opere che alcune indicazioni strategiche particolarmente attuali.

Quanto alle prime, si raccomanda il passaggio da una gestione basata sulla fiducia nella persona che gestisce i beni (economo) e sulla improvvisazione, a una gestione programmata mediante l’utilizzo del budget o di bilanci preventivi (anche per la gestione della continuità religiosa). Si suggeriscono, altresì, altri strumenti tecnici di gestione, quali: il controllo di gestione e l’elaborazione di piani sistematici e proiezioni, nonché la predisposizione di appositi sistemi di monitoraggio delle Opere in perdita, in particolare per mettere in atto piani di rientro dal deficit.

In chiave prospettica, si raccomanda particolare attenzione alla sostenibilità (spirituale, relazionale ed economica) delle Opere. Prendere atto quindi che le Opere sono collocate in un contesto territoriale e devono rispondere ai bisogni del territorio. Quando questa rispondenza (che è prima di tutto di carattere spirituale) non possa più essere assicurata, occorre rivedere le Opere stesse. Il tema del ridimensionamento di queste (a causa del venire meno soprattutto delle vocazioni religiose, ma non solo) è di grande attualità.

Collegato al tema precedente, vi è quello speculare, dell’apertura delle nuove Opere, laddove questo sia richiesto dalle nuove situazioni emergenti che necessitano di forme nuove e di nuove strutture per potere meglio svolgere la propria missione. La Lettera circolare sul punto testualmente afferma: “Ogni Istituto costruisca, se necessario, nuove strutture, che siano agili e facili da gestire, meno onerose nel tempo, e, in momenti di difficoltà vocazionale, facilmente cedibili o parzialmente utilizzabili senza alti costi di gestione”.

Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Gianni Mario Colombo
– Sistema Ratio Centro Studi Castelli

Total
0
Shares
Articoli correlati