Il contratto di lavoro intermittente o a chiamata

Il contratto di lavoro intermittente soddisfa l’esigenza di flessibilità delle aziende, soprattutto in questo periodo di emergenza Covid, ma non rientra tra i rapporti di lavoro agevolabili perché contratto di lavoro non stabile.

Il contratto di lavoro intermittente o a chiamata è disciplinato dagli artt. 13-18 D.Lgs. 81/2015 e si caratterizza per un utilizzo discontinuo della prestazione del lavoratore, resa su richiesta dal datore di lavoro. Il contratto a chiamata può essere stipulato sia a tempo determinato che indeterminato. Nel caso di contratto a chiamata a tempo determinato, non si applica la disciplina del contratto a tempo determinato di cui agli artt. 19-29 D.Lgs. 81/2015, per esempio con riferimento a durata massima, obbligo di causali, numero di proroghe. Il contratto a chiamata può essere stipulato nei seguenti casi:

– in presenza delle esigenze individuate dai contratti collettivi;
– in ogni caso con soggetti con meno di 25 anni (la prestazione deve comunque essere svolta entro i 24 anni e 364 giorni) oppure con più di 55 anni;
– a prescindere dall’età, per lo svolgimento delle attività individuate nel R.D. 2657/1923.

Il contratto a chiamata è ammesso, per ciascun lavoratore con lo stesso datore di lavoro, per un periodo massimo di 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari. In caso di superamento, il rapporto si trasforma a tempo pieno indeterminato. Il calcolo delle 400 giornate deve essere effettuato conteggiando i giorni di lavoro, procedendo a ritroso di 3 anni dal giorno in cui si richiede la prestazione. Nei settori del turismo, pubblici esercizi e spettacolo non è previsto alcun limite.

L’utilizzo del lavoro intermittente è vietato nei seguenti casi:

a) per sostituire lavoratori in sciopero;
b) presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi o nelle quali è attiva la cassa integrazione per lavoratori adibiti alle stesse mansioni;
c) per i datori di lavoro che non hanno provveduto alla valutazione dei rischi.

Il contratto a chiamata può essere:

con obbligo di risposta: il lavoratore ha diritto ad un’indennità di disponibilità, assoggettata per intero a contribuzione previdenziale, ed è obbligato a rispondere alla chiamata. L’importo dell’indennità di disponibilità è determinata dai contratti collettivi e comunque non può essere di importo inferiore al 20% della retribuzione prevista dal contratto collettivo applicato; il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può costituire motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto;

senza obbligo di risposta: il lavoratore non ha diritto ad alcuna indennità e non è obbligato a rispondere alla chiamata.

Nei periodi in cui non viene utilizzata la prestazione, il lavoratore non ha diritto ad alcun trattamento economico, salvo che sia obbligato a rispondere alla chiamata, caso in cui spetterà esclusivamente l’indennità di disponibilità. Prima dell’inizio della prestazione o di un ciclo di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicare la prestazione telematicamente tramite il portale Cliclavoro o Pec o l’App Lavoro Intermittente. In assenza di comunicazione preventiva, è prevista una sanzione amministrativa da € 400 a 2.400 per lavoratore.

Il datore di lavoro è tenuto ad informare con cadenza annuale, salvo previsioni più favorevoli dei contratti collettivi, le rappresentanze sindacali sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente. Nonostante la flessibilità tipica del contratto a chiamata, tale fattispecie rimane esclusa dalle tipologie incentivabili con riferimento alle principali agevolazioni in vigore, in quanto rapporto di lavoro non stabile.

Autore: Carlotta Mariani – Pierluigi Mariani – Sistema Ratio Centro Studi Castelli Srl

Total
0
Shares
Articoli correlati