Un settore afflitto da tassi di illegalità intollerabili che occorre contrastare con vecchie e nuove misure.
Per “lavoro domestico” si intende una serie di prestazioni rese a favore di un soggetto o di un’organizzazione non imprenditoriale e che consistono in servizi destinati al funzionamento della vita familiare e al governo della casa.
Il datore di lavoro può essere:
l una persona singola;
l un nucleo familiare i cui componenti sono legati da un vincolo affettivo e di mutua assistenza;
l una comunità di tipo militare o religioso, nella quale vengono riprodotte al suo interno le stesse regole della vita familiare.
Il lavoratore (in realtà sarebbe più corretto dire la lavoratrice, poiché nel quasi 90% dei casi si tratta di una donna) svolge generalmente le mansioni di colf e badante, ma potrebbero essere anche quelle di cuoco, cameriere, baby-sitter, autista, giardiniere, custode o portiere.
Secondo un’indagine Eurostat l’Italia è il Paese che, con Cipro, vanta la maggiore percentuale di lavoro domestico a livello comunitario. Si tratta, tuttavia, di un primato del quale c’è poco da andare fieri, giacché poco onorevoli sono le due ragioni di fondo. La prima, infatti, è da attribuire alla grave carenza di servizi, sia pubblici che privati, alle famiglie, soprattutto nell’ambito dell’assistenza alla persona e agli anziani; la seconda è da rinvenire nei costi del lavoro molto bassi, anche perché caratterizzati da una diffusissima evasione fiscale e contributiva.
L’estesa irregolarità che connota il settore è strettamente legata alla composizione in larga parte straniera dei lavoratori domestici. Le statistiche parlano di una percentuale che si aggira intorno al 70% ma il numero è sicuramente sottostimato perché non tiene conto degli immigrati privi del permesso di soggiorno o, comunque, non legalmente residenti nel nostro Paese. Un indizio, in tal senso, è dato dall’ultima sanatoria del 2020 in cui oltre l’85% delle domande riguardava proprio il lavoro domestico.
Dinnanzi a cifre così impietose, che collocano l’Italia ai vertici europei per lavoro nero, occorre chiedersi come ridurre l’irregolarità nel settore in questione, di gran lunga il più colpito dal fenomeno.
Per le peculiarità del caso, una volta tanto ci sentiamo di escludere il solito “mantra” sull’ inasprimento dei controlli, dal momento che, nella fattispecie, il potere di accesso ispettivo nei luoghi di lavoro andrebbe a scontrarsi col diritto alla inviolabilità e intangibilità del domicilio della parte datoriale.
È però possibile ipotizzare alcune semplici misure:
1. consentire allo straniero irregolare, dopo un certo periodo di tempo, di sanare la sua posizione in presenza di un datore disposto ad assumerlo (in pratica una sanatoria permanente);
2. informare e sensibilizzare i potenziali datori di lavoro sugli sgravi e sui benefici fiscali già esistenti ma ancora poco conosciuti e/o poco utilizzati;
3. in caso di assistenza a persona totalmente invalida, vincolare l’indennità di accompagnamento all’assunzione regolare di personale o al pagamento di rette alle case di riposo (è una norma che vige in diversi paesi europei);
4. aumentare l’offerta (magari sfruttando al massimo il PNRR) di servizi sociali come asili nido o case di riposo, in modo da limitare l’enorme e spropositato ricorso, da parte delle famiglie italiane, a personale da occupare in ambito domestico.
Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Giovanni Pugliese – Sistema Ratio Centro Studi Castelli