AAA stagionalità cercasi

Il decreto Dignità ha innovato il contratto a tempo determinato, reintroducendo l’obbligo di causale nei casi di superamento dei 12 mesi e in occasione di ciascun rinnovo: la norma, oltre ad aver creato causali di difficile applicazione, non ha lasciato alcuno spazio alla contrattazione collettiva per formulare ipotesi diverse, “concedendo” soltanto la libertà di intervenire in materia di durata massima e di limiti quantitativi. Un discorso diverso merita la stagionalità.

A riguardo, la riforma ha previsto che “contratti per attività stagionali possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle condizioni di cui all’art. 19, c. 1: una deroga che va ad aggiungersi alle altre specificità dei contratti stagionali che, pur soggetti al limite delle 4 proroghe, sono esclusi dai limiti di durata e quantitativi, dallo Stop & Go, nonché dall’applicazione del contributo addizionale NASpI (1,40%) e dunque dall’aumento dello 0,5%, in ogni caso di rinnovo, previsto dal D.L. 87/2018 (di cui attendiamo ancora una circolare INPS operativa), fatto salvo il caso in cui vengano stipulati contratti stagionali al di fuori del D.P.R. 1525/1963, secondo ipotesi previste dai contratti collettivi.

Una condizione ottimale, se non fosse per due elementi: molti contratti strategici non contemplano ipotesi di tale natura o le prevedono in termini molto “deboli”; dall’altro lato, dal lontano 2015 (anno di emanazione del D.Lgs. 81) siamo in attesa di un nuovo decreto che individui le attività stagionali, essendo ancora valida la disposizione secondo cui “fino all’adozione del decreto continuano a trovare applicazione le disposizioni del D.P.R. 7.10.1963, n. 1525”.

Diviene allora necessario ottimizzare gli strumenti in nostro possesso e quando possibile, cercare alternative. Parlando di strumenti, il pensiero va alla contrattazione di secondo livello e ai c.d. “contratti di prossimità attraverso cui è rispettivamente possibile “creare” ipotesi di stagionalità e causali aggiuntive rispetto a quelle legali: è vero però che non tutte le aziende hanno la possibilità di stipulare contratti aziendali, rimanendo con la sola (e fievole) speranza di un intervento della contrattazione territoriale, così come è vero che i contratti di prossimità, ai sensi della L. 148/2011, richiedono il rispetto integrale di condizioni formali e sostanziali, tra cui l’utilizzo per le sole materie elencate nell’art. 8 (tra cui i contratti a termine), la cui tassatività è stata confermata dalla Corte Costituzionale (sent. 221/2012).

Esempio calzante è dato dall’art. 66-bis del CCNL del Terziario all’interno del quale viene data la possibilità a livello territoriale di individuare “località a prevalente vocazione turistica” dove stipulare contratti a tempo determinato per la gestione di picchi di lavoro in determinati periodi dell’anno: una previsione debole se pensiamo alla vaghezza del concetto di “vocazione turistica”, alla difficoltà di interventi in materia delle oo.ss. territoriali e al fatto che il bisogno di rispondere a picchi di lavoro va ben oltre la tipologia di località in cui un’attività si trovi.

Servirebbero dunque un cambio di passo della contrattazione nazionale, anche capace di dare impulso a quella di secondo livello, un censimento dei contratti territoriali esistenti e un aggiornamento dei contratti mai rinnovati.

Alternative valide, pur stanti le profonde diversità applicative, sono invece rintracciabili nel contratto di lavoro intermittente e nel contratto di prestazione occasionale, le cui difficoltà operative non sono banali.

In merito al lavoro a chiamata, per esempio, i contratti collettivi quasi mai disciplinano la “materia”, lasciandoci (salvo il caso di soggetti che integrano i requisiti di età) in balìa di un decreto del 1923 che, alla luce dell’interpello 10/2016 del Ministero del Lavoro, sarà utilizzabile fino all’emanazione del decreto che avrà il compito di sostituirlo: è però evidente come in quel (quasi) centenario regio decreto le mansioni obsolete superino quelle di cui avremmo realmente bisogno.

Si può dunque dire che il tentativo di far passare la lotta al lavoro “temporaneo” come rimedio alla mancanza di occupazione stabile, a parere di chi scrive, oltre a dimostrarsi fallimentare, sta generando un bisogno sempre più pressante di dare vita a strumenti capaci di creare condizioni favorevoli per le imprese e per i lavoratori al fine di rispondere a esigenze di flessibilità che, volenti o nolenti, esistono e che provengono spesso da entrambe le parti.

Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Mario Taurino – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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