Egomet

Li troviamo un po’ dovunque, ahimè, con quello spirito di autoreferenzialità, superiorità e chiusura alle istanze altrui che poco contribuisce alla vita buona di tutti. Anzi, i signori e le signore “egomet” hanno in comune uno sguardo così particolare sulla natura umana da non agevolare sicuramente le relazioni interpersonali e le dinamiche sociali.

“Io medesimo, io proprio io”: così può suonare la traduzione dal pronome latino “egomet”, un rafforzativo grammaticale del concetto di identità personale. Dobbiamo ammetterlo: esistono tanti casi di soggetti al mondo che possiedono un “ego” molto accentuato, un senso di sé davvero importante, una concezione delle proprie facoltà e capacità oltre misura, sproporzionato, a volte fuori controllo. Anche San Paolo, tanti secoli fa, ammoniva le comunità cristiane affinché i singoli non avessero una stima troppo alta di se stessi, segno che già  a qual tempo i casi di “egomet” e di personalità molto elevate, sin troppo, rispetto alla media umanità non erano poi così rari, e certamente poco inclini alla cooperazione e poco utili alla comune concordia.

Infatti, anche oggi, come allora, le figure in questione hanno il mondo “in gran dispitto”, usando l’immagine dantesca: guardano tutti dall’alto in basso, si ritengono i migliori, indiscutibilmente, vantano cultura, qualità e competenze superiori, patiscono enormemente per tutte le volte in cui non viene concretamente riconosciuto il loro “status” e la sedicente “eccellenza” del loro possibile apporto alla soluzione di ogni questione terrena. Insomma, non è facile rapportarsi con i famosi “egomet”, anche perché molto spesso di temperamento granitico, serio e severo, poco disponibili alla mediazione e al compromesso, assolutamente convinti della bontà insuperabile delle proprie posizioni e delle proprie certezze, sovente critici verso le decisioni altrui e verso le realizzazioni non ascrivibili al proprio decisivo contributo.

Se tutto questo, poi, viene vissuto quotidianamente all’interno degli ambienti lavorativi, professionali e istituzionali, dell’associazionismo, dei rapporti amicali, è chiaro come il tenore e il clima delle umane relazioni rischino di essere messi a dura prova, in alcuni casi anche danneggiati, addirittura compromessi. Una fatica vera fronteggiare questi egoismi spinti all’eccesso, che misurano ogni cosa sulla base delle proprie considerazioni esclusive, del tutto parziali, e rappresentano un serio ostacolo alla serena convivenza, al fattivo gioco di squadra, ai risultati efficaci del giusto equilibrio e della visione ordinata del lavoro d’insieme.

E magari fossero felici! Alla ricerca costante di traguardi, onori e prebende, sono traditi dall’ambizione e dall’ansia perpetua, ingrati verso tutto e verso tutti, intristiti per quello che non viene a loro riconosciuto, per i meriti  propri che essi professano sempre e comunque, senza alcun timore di smentita, e che a loro giudizio avrebbero invece un valore enorme, super, eccelso.

Allora, per tutti questi motivi, è proprio il momento di ribadire che la giusta stima di se stessi non ha nulla a che vedere con la vuota e superba autoreferenzialità. Gli “egomet” devono comprendere che ci sarà  sempre vita felice in pienezza quando sapranno stare finalmente al passo degli altri, comuni mortali, sapranno riporre i propri obiettivi troppo ampi  e sproporzionati, sapranno limitare il proprio incontenibile sentimento di superiorità.

Vivranno meglio, sicuramente, non sopra ma accanto agli altri, con uno sguardo nuovo di umanità, con il senso di fragilità e di finitudine che tutti accomuna, con un’attitudine diversa a dare valore a quanto appartiene alle altre persone. “Homo homini amicus”, non “homo homini lupus”. Magari sarà un cammino non facile, ma gli esiti di vita buona, e di gioia condivisa, saranno certamente garantiti. Per tutti.

(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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