All’inizio di questa giornata papa Francesco ha lasciato la scena del mondo, all’indomani di Pasqua, il giorno dopo aver impartito la benedizione “Urbi ed Orbi” dalla loggia della Basilica Vaticana, poche ore dopo aver tributato il saluto – quello che noi raccontiamo oggi essere stato il suo ultimo saluto – alla folla radunata in piazza San Pietro a bordo della papamobile.
E’ stato il suo “passaggio”, reale e simbolico, perché Pasqua è voce del verbo ebraico ‘pèsah’, passare, in una coincidenza che è nella radice del “cambiamento”, del “mutamento”, dalla vita alla morte, dalla morte alla Resurrezione. Rimarrà per sempre la Pasqua di Francesco, la sua ultima Pasqua.
In queste ore è visibile, tangibile, esteso il senso di vuoto e di smarrimento nella comunità cristiana dell’intero pianeta, e non solo. Nel senso che incredulità, sgomento e dolore stanno accompagnando alla notizia della morte del pontefice argentino le reazioni e i sentimenti di tanti uomini e donne di buona volontà che si riferiscono non soltanto al cattolicesimo, ma anche ad altre fedi e convinzioni religiose, accomunati dal fatto di riconoscersi tutti nei valori e nello stile del magistero di papa Bergoglio.
Proviamo a indicare alcune possibili ragioni.
Innanzitutto, il papato di Bergoglio si può definire “rivoluzionario”, a partire dalla scelta di un nome, come quello di Francesco, mai usato prima dal successore di Pietro nella storia della Chiesa. E poi il saluto semplice la sera della sua elezione, il 13 marzo 2013, il cambiamento di assetti e tradizioni consolidate, il linguaggio diretto, schietto e molto efficace, la rottura di schemi e di meccanismi acquisiti da lungo tempo, l’insistenza teologica sui temi della misericordia e della tenerezza di Dio, l’immagine di una Chiesa aperta a tutti, “in uscita”, sinodale, non rinchiusa dentro palazzi e riti, che va verso le periferie esistenziali, dove “il pastore ha l’odore delle sue pecore”, dove la carità e l’accoglienza sono contenuti e forma del messaggio essenziale del cristianesimo dei tempi moderni.
Profondamente innovatore e profetico, come narrò al mondo la sua camminata in solitudine in una piazza San Pietro deserta al tempo della pandemia, a rappresentare la radicale alterità del dolore e l’invocazione di un tempo nuovo di rinascita per l’intera umanità, in cui nessuno si salva da solo, ma tutti condividono lo stesso destino nel segno della solidarietà e della speranza. Qualcuno ha già scritto che nulla sarà più come prima, dopo Francesco, a testimoniare che il messaggio di questi dodici anni di pontificato è stato talmente lungimirante, forte, di provocazione sentita e appassionata al cambiamento dei cuori e delle visioni di persone e comunità da occupare sin da ora un posto di eccezionale rilievo nella storia recente della vicenda universale. I gesti da lui compiuti, di vicinanza, di amicizia, di condivisione – oltre le parole, i testi, le encicliche, le omelie, gli appelli alla conversione e al “non giudicare” – sono fondamentali per comprendere i significati profondi della sua vita di uomo, sacerdote e vescovo sulla cattedra di Pietro. Spesso sorprendenti e imprevedibili, a stretto contatto con l’esistenza quotidiana delle persone, essi hanno dato la misura di un cuore straordinariamente generoso e altruista, capace di instaurare dialoghi diretti, confidenze, sostegni e conforti a coloro soprattutto che vivono fragilità, fatiche ed emarginazioni in una società troppo spesso votata all’egoismo e all’indifferenza.
E tutto questo affrontando anch’egli nelle scorse settimane, fino all’ultimo respiro, la prova della malattia e della sofferenza fisica con grande coraggio, dignità e forza d’animo, continuando a lavorare, a operare, a sollecitare vita buona in tutti e per tutti, e a donare se stesso come segno di piena condivisione, e di personale immedesimazione, con il grido e il dolore innocente dell’umanità ferita e violentata dall’odio e dalle guerre.
Certo, è stato scomodo e incompreso in alcune sue prese di posizione. Attento a far crescere la concordia e la cooperazione fra le nazioni in tutto il mondo, egli ha posto in essere un’azione infaticabile nei viaggi apostolici per favorire il dialogo interreligioso e le soluzioni pacifiche alle tante guerre in corso in questo “mondo a pezzi”.
E’ stato il pontefice a sostegno della vita e della famiglia, della denuncia della “cultura dello scarto”, sempre a difesa dei poveri e degli ultimi, promotore dell’ecologia integrale e della cura del creato, alfiere della responsabilità dell’uomo rispetto alle grandi sfide delle conquiste scientifiche e tecnologiche della nostra epoca. In tutto questo, guidato da un’infinita passione per l’uomo, al punto che qualcuno ha già coniato il termine di “teopatia” riferita a papa Francesco, rispetto al classico “teologia”, proprio per dare la misura di questo suo originalissimo e unico “pathos” nell’annuncio del mistero di Dio, impegnandosi nel contempo per un profondo e credibile rinnovamento della Chiesa.
Luci e ombre, dirà qualcuno, come succede per coloro che senza pensare di accontentare tutti si prodigano ogni giorno, con convinzione sincera, per cercare di costruire vie nuove di una vita migliore per la comunità degli uomini e delle donne del nostro tempo. E resterà fortissimo, contro tutte le guerre, vicine e lontane, l’invito alla pace di Francesco, indomito, infinito, senza tregua, pieno di fiducia e di speranza, come il Giubileo da lui voluto in quest’anno di grazia 2025, che ora proseguirà senza colui che lo ha ufficialmente voluto e inaugurato, solo pochi mesi fa.
Resterà la Pasqua di Francesco, il suo passaggio sulla scena di questo mondo, dopo l’abbraccio finale ai fedeli di piazza San Pietro, e la flebile voce che ha benedetto, per l’ultima volta, nel giorno del Risorto, della possibilità di rinascere, della vita di sempre che diventa vita per sempre.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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