Modi di dire: gettare la spugna

Concordia Sagittaria, nell’entroterra veneziano, si possono ammirare i resti dell’antica Iulia Concordia, fiorente colonia romana sorta nel I secolo a.C. sulle fondamenta di antichi insediamenti veneti e celebre per la produzione di frecce (sagitte). Ubicata in posizione strategica fra le vie Annia e Postumia, a una manciata di chilometri dal litorale adriatico, Concordia conserva importanti testimonianze archeologiche: fra queste le rovine di un complesso termale rimasto attivo per almeno tre secoli.

Luogo salubre per antonomasia, scenario prediletto per incontri di varia natura, strumento di omologazione sociale e palcoscenico per ostentare potere e ricchezza, le terme costituiscono uno degli elementi chiave per comprendere le dinamiche sociali dell’antica Roma. Ne esistevano di varie tipologie, lussuose e popolari, gratuite e a pagamento, per soli uomini o aperte a entrambi i sessi magari con orari differenti o locali separati. I romani andavano alle terme per lavarsi, fare ginnastica, nuotare, giocare a palla, sudare, fare bagni di sole o purificare la pelle con accurate sedute di raschiamenti e strofinamenti.

Mary Beard, autrice di un interessante saggio sulla vita quotidiana a Pompei, puntualizza che alle terme si andava principalmente per ragioni igieniche, curative ed estetiche, ma non mancavano stabilimenti assimilabili ad autentiche case di tolleranza. A tale proposito, recita un’antica epigrafe, leterme, come il sesso e il vino potevano anche condurre alla perdizione.

Gli ambienti termali, decorati con mosaici e dipinti, proponevano il classico ciclo caldo-freddo, ma non solo. Agli irrinunciabili frigidariumtepidarium calidarium, potevano aggiungersi anche altri spazi: spogliatoi, sale sudatorie, piscine, giardini, campi di bocce, saune, palestre e il descrictorium ove i patrizi, il corpo cosparso con oli e balsami, si facevano raschiare la pelle dagli schiavi. Nelle terme più equivoche vi erano locali nei quali consumare amori mercenari o clandestini circondati da esplicite raffigurazioni erotiche. Gli adescamenti erano talvolta preceduti da una sorta di corteggiamento rituale nel quale ci si avvaleva dell’asciugamano o spugna: annodarlo equivaleva a rifiutare la proposta, buttarlo significava accettarla. Gettare la spugna corrispondeva dunque un atto di sottomissione come confermano alcune antiche iscrizioni; un gesto plateale ed esplicito spesso seguito da un applauso.

Dalla sottomissione alle terme a quella sul ring il passo è stato breve: il manager che vuole sottrarre il proprio pugile dagli spietati colpi dell’avversario “getta la spugna” per interrompere l’incontrodall’esito disastroso. Sebbene si tratti di un gesto più facile da rintracciare nel gergo piuttosto che nella realtà della boxe, il lancio della spugna ha rapidamente superato i confini del quadrato finendo col contaminare   anche il linguaggio quotidiano. Ed ecco che a gettare la spugna è colui che abbandona un’impresa economica, intellettuale o professionale sopraffatto dalle difficoltà, dalle avversità, dalla fatica o dagli imprevisti. Tutte circostanze nelle quali l’immaginario lancio della spugna assume i contorni di una sconfitta, di una rinuncia, spesso di una resa ingloriosa.

Ammettere i propri limiti, accettare un fallimento è più che mai umano.   Napoleone, che in fatto di trionfi e di sconfitte la sapeva lunga, esortava i propri uomini a battersi sempre con coraggio poiché in battaglia, come nella vita, la sola paura di perdere provoca la disfatta.

Dal canto suo, il leggendario pugile Jake LaMotta, passato alla storia con il soprannome di Toro scatenato, vincitore di 83 incontri su 106, ammise che nessuno era mai riuscito a mandarlo a tappeto. A parte le sue sei mogli! 

(Autore: Marcello Marzani)
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