Forma ovoidale e sovente allungata, colore bianco o giallo paglierino, buccia bruna, gialla o rossastra: è la patata del Quartier del Piave che, assieme a quelle del Montello, di Bolca, di Cesiomaggiore, di Chioggia, di Posina, di Montagnana, di Rotzo, alla cornetta e alla dorata dei terreni rossi del Guà vanta il prestigioso titolo di prodotto agroalimentare tradizionale del Veneto.
Originaria delle montagne del Perù e della Bolivia, alimento popolare fra gli Inca, la patata fu un’autentica sorpresa per i conquistadores spagnoli che intuendone le potenzialità, nel Cinquecento la piantarono nelle isole Canarie e, successivamente, la introdussero in Spagna. Accolta come una mera curiosità botanica, sovente guardata con sospetto per la sua somiglianza con altre Solanacee velenose o equivoche come la belladonna o la mandragora, la patata faticò ad affermarsi come alimento. E se ciò accadde fu grazie a personaggi come il farmacista militare francese A. Parmentier (1737 – 1813) che, sopravvissuto alla prigionia nutrendosi di patate, per dimostrare la bontà del tubero riuscì convincere la regina Maria Antonietta a mettersi all’occhiello un fiore di patata: fu un tale trionfo che, ancora oggi, si possono gustare le celebri pommes parmentier.
Approdata in Italia alla fine del Cinquecento, ribattezzata tartuffolo e reputata più adatta all’alimentazione del bestiame piuttosto che a quella umana, nelSettecento la patata fu seminata nell’Orto botanico di Padova e, nel 1816, divenne protagonista di un felice esperimento orticolo patrocinato dagli austriaci sull’isola veneziana della Giudecca.
Alla lunga, grazie alle proprie caratteristiche di cibo nutriente e a buon mercato, la patata riuscì a vincere la diffidenza degli agricoltori veneti che le preferivano il mais da polenta e finì col divenire protagonista indiscussa di mense umili e aristocratiche, declinata in ricette più o meno elaborate alcune delle quali entrate a pieno titolo nella tradizione gastronomica veneta come gli gnochi de patàte o le patàte in tècia.
L’affermazione della patata come cibo quotidiano è all’origine della famosa espressione “idem con patate”, con la quale si intende sottolineare una “aggiunta inutile e insulsa”. Si ricorre a questa frase per rimarcare la banalità di un’affermazione o l’ovvietà di una spiegazione. Un saggio dell’Accademia della Crusca a firma di Monica Alba colloca l’origine di questa locuzione agli inizi del Novecento, epoca in cui il modo di dire in questione debuttò nel linguaggio giornalistico, verosimilmente mutuato dai menù delle osterie. Le liste delle vivande prevedevano infatti l’accompagnamento del piatto forte con diversi contorni, fra i quali le immancabili patate: era piuttosto frequente imbattersi in menù nei quali, sotto la proposta “pollo arrosto con insalata”, vi fosse la dicitura “idem con patate”. Un modo piuttosto sbrigativo per andare incontro ai gusti del cliente utilizzato, già nell’Ottocento, dagli autori di alcuni manuali di cucina nei quali la formula “idem con …” serviva a descrivere gli innumerevoli abbinamenti fra i cibi.
Preziosa risorsa alimentare troppo spesso umiliata, la patata ha subito la medesima sorte nel linguaggio colloquiale ove il richiamo al tubero andino non di rado è foriero di giudizi poco lusinghieri: se il “naso a patata” non è un attributo del quale andare fieri, essere un “sacco di patate” è sinonimo di goffaggine e lo “spirito di patata” è una prerogativa degli insulsi.
A riabilitare il tubero, fortunatamente, interviene il suo utilizzo come metafora per indicare i genitali femminili. La patata, insieme alla prugna, all’albicocca, alla fragola e alla castagna serve a designare ciò che negli uomini è associato al cetriolo, al pisello, ai marroni e alle fave. Sono oltre cento le verdure e i frutti che in italiano, con un misto fra malizia e ironia, servono ad alludere a un qualcosa che è meglio non esplicitare.
A salvarci dal rischio di sconfinare nella trivialità, giunge provvidenziale un’arguta citazione dell’intramontabile regista statunitense Orson Welles,dedicata alla nostra straordinaria solanacea: “L’amore è simile alla patata, che ha molti occhi ma non ci vede”.
(Autore: Marcello Marzani)
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