Pensavate che il linguaggio fosse una prerogativa esclusivamente umana? La ricerca scientifica sta rivelando che potremmo non essere così unici come abbiamo sempre creduto. Il neurobiologo Erich Jarvis della Rockefeller University ha dedicato anni allo studio delle sorprendenti somiglianze tra il nostro linguaggio e il canto degli uccelli, scoprendo connessioni neurologiche che potrebbero riscrivere la nostra comprensione della comunicazione nel regno animale.
Secondo Jarvis, il linguaggio non è un’abilità monolitica, ma un insieme di componenti distinte. C’è la percezione uditiva (capire ciò che viene detto), la sintassi (la sequenza di suoni con regole), la semantica (il significato dei suoni) e la produzione vocale (la capacità di emettere suoni imitati). Quest’ultima capacità è particolarmente rara e speciale. Mentre il vostro cane può comprendere decine di comandi in diverse lingue – una capacità impressionante di cui si vanta con gli altri cani al parco – non riuscirà mai a rispondervi a parole, per quanto intensamente possa desiderarlo.
La capacità di apprendimento vocale si è evoluta indipendentemente in diverse specie non strettamente imparentate tra loro, come se la natura avesse avuto la stessa brillante intuizione più volte. Oltre agli esseri umani, questa abilità si riscontra nei pipistrelli (che cantano in ultrasuoni, fuori dalla nostra portata uditiva), nei cetacei come balene e delfini, nei leoni marini e negli elefanti. Tra gli uccelli, solo tre gruppi hanno sviluppato questa capacità: gli uccelli canterini, i pappagalli e i colibrì. Il resto del mondo aviario deve accontentarsi di un repertorio vocale prefabbricato e immutabile.
Una delle scoperte più affascinanti riguarda la connessione tra l’apprendimento vocale e la danza. Jarvis afferma che solo le specie capaci di apprendimento vocale possono imparare a ballare, ovvero a sincronizzare i movimenti del corpo con un ritmo musicale. Questo spiegherebbe perché alcuni di noi sembrano avere due piedi sinistri sulla pista da ballo – forse è tutta questione di circuiti neurali! La laringe è il muscolo che si attiva più rapidamente nel corpo, richiedendo una stretta integrazione tra l’udito e il controllo motorio. Tale integrazione si sarebbe poi estesa ai movimenti dell’intero corpo, permettendo la sincronizzazione con il ritmo.
Dal punto di vista neurologico, i circuiti cerebrali che controllano il linguaggio parlato sono incorporati nei percorsi motori che governano il movimento del corpo. Contrariamente all’idea che la grammatica e la sintassi siano elaborate in aree cognitive superiori separate, Jarvis suggerisce che anche queste componenti siano integrate nei sistemi motori. In altre parole, le regole che governano la produzione di suoni sarebbero incorporate negli stessi circuiti che controllano il movimento. Questo spiegherebbe perché molti di noi gesticolano mentre parlano, anche al telefono quando nessuno può vederci.
Per quanto riguarda l’evoluzione del linguaggio, Jarvis la descrive come una “funzione a scala”, con piccoli salti evolutivi che si sommano a formare un continuum tra le specie. Questo continuum non segue necessariamente l’albero filogenetico in modo lineare: i pappagalli possono imitare i suoni umani in modi che gli scimpanzé, nostri parenti più stretti, non possono. Sembra che Madre Natura a volte distribuisca i suoi doni in modo piuttosto imprevedibile.
Un altro aspetto interessante è che tutte le specie capaci di apprendimento vocale tendono ad avere periodi giovanili prolungati durante i quali vengono accuditi dai genitori. Questa fase prolungata permette loro di acquisire il repertorio culturale di vocalizzazioni – un po’ come noi umani che passiamo anni a scuola per imparare a comunicare correttamente, anche se alcuni sembrano aver saltato qualche lezione importante.
Le implicazioni di queste scoperte si estendono anche alla comprensione dei disturbi del linguaggio negli esseri umani. I geni implicati nell’apprendimento vocale, come il FOXP2, quando alterati causano disturbi simili sia negli esseri umani che negli uccelli canterini. Questa convergenza genetica e funzionale apre la strada a nuove possibilità terapeutiche, inclusa potenzialmente la terapia genica per alcuni tipi di disturbi del linguaggio.
In conclusione, lo studio comparativo del linguaggio umano e del canto degli uccelli sta ridimensionando la nostra idea di unicità comunicativa. Nonostante le evidenti differenze, esistono sorprendenti somiglianze nei meccanismi neurologici e genetici che controllano queste forme di comunicazione. Il linguaggio umano, in questa prospettiva, appare come una specializzazione particolarmente avanzata di capacità comunicative che condividiamo, in forma più rudimentale, con altre creature del pianeta. Forse la prossima volta che ascolteremo il canto di un uccello dovremmo prestare maggiore attenzione: potrebbe avere più da dirci di quanto pensiamo.
(Autore: Paola Peresin)
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