Segreti nel DNA: la genetica che ridà speranza alle specie in pericolo

In una straordinaria ricerca appena pubblicata sulla rivista Animal Conservation, Keith M. Hernandez, ci racconta come i ricercatori siano riusciti a risolvere uno dei più grandi enigmi della biologia marina. Gli elefanti marini del nord sono tra gli animali più straordinari del nostro pianeta, ma nascondono un segreto che li rende unici nel regno animale: hanno una diversità genetica estremamente bassa, tra le più limitate di qualsiasi specie di mammifero conosciuta.

Questa particolare condizione genetica deriva da una storia drammatica. Nel XIX secolo, la caccia spietata portò questi magnifici animali sull’orlo dell’estinzione. La specie fu dichiarata estinta almeno due volte prima che un piccolo gruppo di sopravvissuti fosse scoperto sull’Isla Guadalupe in Messico. Si stima che solo 20-100 individui siano riusciti a sopravvivere a questo periodo buio.

Da questo minuscolo gruppo di superstiti, la popolazione si è ripresa in modo spettacolare nel corso dell’ultimo secolo, raggiungendo oggi circa 179.000 individui in tutto il loro areale di distribuzione. Tuttavia, questa impressionante crescita numerica non ha potuto cancellare le cicatrici genetiche lasciate dal collo di bottiglia del passato – così chiamano gli scienziati quella drastica riduzione quando una popolazione passa da migliaia di individui a meno di 100. È come se tutto il patrimonio genetico della specie dovesse passare attraverso un imbuto strettissimo: anche se poi i numeri risalgono, la diversità genetica rimane per sempre limitata a quella dei pochi sopravvissuti.

La scarsa variabilità genetica ha creato sfide enormi per i ricercatori che cercano di studiare questi animali. Determinare le relazioni familiari – chi è figlio di chi, quali animali sono imparentati – è sempre stato praticamente impossibile usando i metodi genetici tradizionali. È come cercare di distinguere tra gemelli identici guardando il loro DNA.

Ma ora, grazie a una nuova tecnologia genetica chiamata microaplotipi, i ricercatori sono riusciti a superare questo ostacolo apparentemente insormontabile. I microaplotipi sono segmenti molto corti di DNA che contengono multiple variazioni genetiche ravvicinate. Pensate a loro come a impronte digitali genetiche più dettagliate rispetto a quelle che si potevano ottenere in passato.

Un team di scienziati delle università californiane ha sviluppato un pannello di 122 marcatori microaplotipici specificamente per gli elefanti marini del nord. Questi nuovi strumenti genetici sono stati testati su campioni raccolti dalla colonia di Año Nuevo in California, una delle aree di riproduzione più importanti per la specie.

I risultati sono stati sorprendenti. I ricercatori sono riusciti a identificare correttamente tutte le coppie madre-figlio che erano già note attraverso osservazioni comportamentali dirette. Ma non solo: hanno anche scoperto una relazione familiare precedentemente sconosciuta, dimostrando che questo metodo può rivelare legami nascosti che sfuggono anche agli occhi più attenti degli osservatori sul campo.

La potenza discriminatoria di questi nuovi marcatori è impressionante. Per identificare una relazione genitore-figlio, il tasso di falsi positivi è di appena uno su dieci milioni di confronti. È come avere la certezza matematica di aver trovato l’ago giusto in un pagliaio di dieci milioni di aghi.

Questa scoperta apre nuove frontiere per lo studio degli elefanti marini. Per decenni, i ricercatori si sono chiesti come funzioni veramente il loro sistema riproduttivo estremo, caratterizzato da poliginia intensa dove pochi maschi dominanti si accoppiano con molte femmine. Ora sarà possibile determinare la vera paternità dei cuccioli e capire se i maschi più grandi e aggressivi sono davvero quelli che trasmettono i loro geni alle generazioni future.

Ma l’importanza di questa ricerca va oltre la semplice curiosità scientifica. Gli elefanti marini del nord rappresentano un paradosso evolutivo: nonostante la loro diversità genetica limitatissima, sono riusciti a riprendersi da una quasi estinzione e oggi prosperano. Altre specie con caratteristiche genetiche simili spesso non ce la fanno.

Comprendere come questi animali riescano a resistere alle malattie e ad adattarsi ai cambiamenti ambientali nonostante la loro uniformità genetica potrebbe fornire lezioni preziose per la conservazione di altre specie in pericolo. Molti altri mammiferi marini, come le foche monache hawaiane e quelle del Mediterraneo, si trovano in situazioni simili e potrebbero beneficiare di approcci di conservazione ispirati a questa ricerca.

microaplotipi potrebbero anche rivelarsi utili per il monitoraggio delle popolazioni attraverso tecniche di marcatura e ricattura genetica. Invece di dover marcare fisicamente gli animali, i ricercatori potrebbero semplicemente raccogliere campioni di DNA e riconoscere gli individui quando li rincontrano, proprio come è successo con uno degli elefanti marini dello studio che è stato identificato a distanza di cinque anni.

Questa ricerca dimostra come l’innovazione tecnologica possa aprire nuove possibilità per la scienza della conservazione. Quello che fino a ieri sembrava impossibile – tracciare le genealogie in una specie geneticamente omogenea – oggi è realtà. E questo successo offre speranza per molte altre specie che affrontano sfide simili in un mondo che cambia rapidamente.

Gli elefanti marini del nord ci insegnano che la resilienza può assumere forme inaspettate. La loro storia è quella di una specie che è riuscita a risollevarsi dal baratro dell’estinzione e che continua a prosperare nonostante le cicatrici del passato. Con questi nuovi strumenti genetici, potremo finalmente comprendere appieno i segreti del loro successo evolutivo.

(Autore: Paola Peresin)
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