Il silenzio dei cieli: come tre miliardi di uccelli perduti stanno rivelando una nuova speranza

Nel silenzio crescente dei nostri cieli si nasconde una delle storie ambientali più drammatiche del nostro tempo. Tre miliardi di uccelli sono scomparsi dal Nord America negli ultimi cinquant’anni, una perdita che equivale a quasi un uccello su tre che ha smesso di cantare per sempre. Questa cifra, emersa da una ricerca pubblicata su Science nel 2019, ha scioccato persino gli ornitologi più esperti, trasformando una percezione generale di declino in una realtà quantificata e allarmante.

Ma dietro questi numeri si cela una storia più complessa e, sorprendentemente, anche più speranzosa. Un nuovo studio del maggio 2025, anch’esso pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, ha aggiunto una dimensione geospaziale a questa crisi, rivelando non solo dove gli uccelli stanno scomparendo, ma anche dove potrebbero ancora avere una possibilità di recupero. La chiave di questa rivoluzione scientifica si chiama eBird, una piattaforma che trasforma ogni appassionato di birdwatching in un ricercatore, ogni osservazione in un dato prezioso per la conservazione.

Amanda Rodewald, direttrice senior del Center for Avian Population Studies presso il Cornell Lab of Ornithology, riflette con tono grave sulla portata di questa perdita. Nel corso della sua vita professionale, ha assistito alla scomparsa di quasi un uccello su tre, un declino che considera un campanello d’allarme non solo per la fauna selvatica, ma per la salute dell’intero ambiente. Gli uccelli, infatti, sono eccellenti indicatori del cambiamento ambientale: se gli ecosistemi non sono abbastanza sani da sostenere loro, probabilmente non lo saranno nemmeno per le popolazioni umane.

La vera rivoluzione è arrivata con i modelli eBird Trends, che hanno elaborato oltre 36 milioni di osservazioni raccolte tra il 2007 e il 2021. Questa montagna di dati, processata da una rete di supercomputer finanziata dalla National Science Foundation, ha prodotto quello che Alison Johnston, autrice principale dello studio, definisce una “risonanza magnetica per la conservazione”. Se la ricerca del 2019 aveva lanciato l’allarme di emergenza, quella del 2025 fornisce finalmente gli strumenti per un piano di risposta.

L’analisi ha raggiunto una risoluzione spaziale senza precedenti, esaminando i declini degli uccelli in pixel di 27 chilometri per 27 chilometri, le parcelle di terra più piccole mai utilizzate per un’analisi di questo tipo su un intero continente. Questa precisione ha permesso agli scienziati di identificare con chirurgica accuratezza dove e come stanno avvenendo i cambiamenti, passando dal sapere genericamente che “il ginocchio è gonfio” all’ottenere una diagnosi specifica sui legamenti da curare.

Una delle scoperte più sorprendenti e preoccupanti riguarda il fenomeno che i ricercatori hanno definito “dissoluzione al centro”. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, le popolazioni di uccelli non stanno semplicemente scomparendo ai margini dei loro areali, ma stanno crollando proprio nei loro bastioni storici, nei luoghi dove erano tradizionalmente più abbondanti. L’83% delle 495 specie analizzate mostra questo pattern allarmante.

Il Grande Airone Blu nella valle del fiume Mississippi, per esempio, ha visto le sue popolazioni riproduttive locali diminuire del 20-40% nell’ultimo decennio, proprio nel cuore del suo territorio storico. Similmente, la Civetta delle tane ha registrato cali del 30-50% nelle Grandi Pianure tra il 2012 e il 2022. Questi luoghi, che un tempo rappresentavano l’habitat ideale per queste specie, sembrano non essere più in grado di sostenerle, probabilmente a causa di stress ambientali come il cambiamento climatico, le modifiche nell’uso del suolo e l’inquinamento.

Eliot Miller, coautore dello studio, interpreta questi grandi punti rossi sulle mappe di eBird Trends come segnali di allarme per le “popolazioni sorgente”, quelle comunità di uccelli che producono più prole di quanto l’area possa sostenere e da cui i giovani si disperdono verso nuove aree. La perdita di queste popolazioni cruciali potrebbe avere conseguenze catastrofiche, come già accaduto storicamente con il piccione migratore.

Tuttavia, in mezzo a questo scenario apocalittico emerge una nota di speranza inaspettata. Il 97% delle specie studiate mostra quello che i ricercatori chiamano “eterogeneità” nelle tendenze demografiche: un mosaico complesso di aree in declino e aree in crescita all’interno dello stesso areale. Anche le specie in declino generale hanno quasi sempre almeno alcune località nel continente dove le popolazioni locali stanno aumentando, spesso in aree di bassa abbondanza storica.

Questi aumenti locali potrebbero indicare che alcune popolazioni in habitat marginali sono più tolleranti ai disturbi o più capaci di adattarsi rapidamente. Inoltre, le aree che attualmente ospitano popolazioni in crescita potrebbero trasformarsi in habitat più adatti in futuro, con le specie che si spostano verso territori precedentemente troppo freddi o limitati, ora resi più idonei dai cambiamenti climatici.

La capacità di identificare queste sacche di speranza trasforma la ricerca in quella che Rodewald definisce “scienza azionabile”. Dove ci sono aumenti locali, li si può studiare per capire cosa funziona sul campo, trasformando queste lezioni in strategie di conservazione più intelligenti e mirate. Corina Newsome della National Wildlife Federation sottolinea come questi dati ad alta risoluzione stiano già aiutando a identificare opportunità di conservazione anche in contesti urbani, spesso trascurati come potenziali “gioielli nascosti” per la fauna selvatica.

Ashley Peele, coordinatrice dell’Appalachian Mountains Joint Venture, ha trovato nei dati eBird Trends una guida “rivoluzionaria” per il suo lavoro. Ha identificato aree di crescita per il succiacapre orientale negli Appalachi centrali, in netto contrasto con i declini nelle roccaforti tradizionali della specie. Questa scoperta ha aperto opportunità immediate di collaborazione con partner esistenti per gestire l’habitat in modo strategico, sfruttando le aree minerarie bonificate e la gestione forestale rotazionale per creare quella “matrice di habitat variata” che questi uccelli prediligono.

La speranza è che l’Appalachia centrale possa incubare una popolazione di succiacapre in ripresa per contrastare i rapidi declini in altre aree, dimostrando come la precisione dei nuovi dati possa trasformare la conservazione da difensiva a strategicamente offensiva.

Dietro questa rivoluzione scientifica c’è il contributo silenzioso ma fondamentale di migliaia di appassionati di birdwatching che, caricando le loro osservazioni su eBird, sono diventati gli “occhi e le orecchie” delle agenzie ambientali e delle organizzazioni di conservazione. Le loro 36 milioni di segnalazioni hanno reso possibile un’analisi che sarebbe stata impensabile con i soli metodi di ricerca tradizionali.

In un futuro in cui i finanziamenti governativi per la ricerca sugli uccelli potrebbero diventare sempre più incerti, questo esercito di cittadini scienziati rappresenta una risorsa preziosa e crescente. Ogni checklist caricata, ogni avvistamento registrato contribuisce a costruire il quadro sempre più dettagliato di come sta cambiando il mondo naturale intorno a noi.

Andrew Stillman, ecologista quantitativo del Cornell Lab, lavora per far arrivare queste informazioni direttamente nelle mani di chi può agire: gestori del territorio, agenzie governative e organizzazioni non profit. L’obiettivo è permettere a questi attori di identificare le aree di opportunità e investire le risorse di conservazione dove possono generare il massimo beneficio per gli uccelli.

Quello che emerge da questa ricerca è un paradosso affascinante: le stesse informazioni che hanno lanciato l’allarme sulla crisi degli uccelli sono anche quelle che possono fornire le soluzioni. La tecnologia che ci ha mostrato l’entità della perdita ci sta ora indicando la strada per il recupero, trasformando una storia di declino in una narrativa di possibile rinascita.

La crisi degli uccelli continua ed è grave, ma per la prima volta abbiamo gli strumenti per affrontarla con precisione chirurgica anziché con approcci generici. In ogni pixel di 27 chilometri quadrati analizzato dai ricercatori si nasconde una storia specifica di declino o di speranza, una mappa dettagliata per navigare verso un futuro in cui il silenzio dei nostri cieli possa tornare a riempirsi di canti.

Stiamo assistendo, come osserva Alison Johnston, a una “profonda scossa e riorganizzazione del mondo naturale”. Quello che vediamo attraverso gli uccelli sta probabilmente accadendo anche a livello di insetti, piante e molte altre componenti della natura. Ma proprio questa consapevolezza, unita agli strumenti sempre più sofisticati di cui disponiamo, può segnare l’inizio di una nuova era di conservazione, più mirata, più intelligente e, finalmente, più speranzosa.

(Autore: Paola Peresin)
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