Messo di fronte all’obbligo di contribuire alle faccende domestiche, mio padre si rassegnò a farsi carico di due incombenze: passare la lucidatrice e spolverare. Lo ricordo aggirarsi di buon mattino, ancora assonnato, aggrappato al manubrio di quello strano elettrodomestico che avrebbe dovuto eliminare le inestetiche strisciate su pavimenti mai abbastanza lucidi. Altre volte, armato di un ridicolo pennacchio di grigie piume di struzzo, egli si dedicava alla rimozione della polvere accumulata sui mobili di casa. Illuso di aver assolto decorosamente il proprio dovere mio padre si accingeva a sorbire un caffè quando, alle sue spalle, si materializzava mia madre che, inevitabilmente, scovava impercettibili depositi di pulviscolo scampati alle piume di struzzo. “Come sempre hai fatto i lavori alla carlona!” era la sentenza senza appello che segnava l’inizio di un’ennesima giornata campale.
Dopo anni mi sono deciso a indagare sull’identità di questo Carlone, incuriosito di sapere chi avesse legato il proprio nome ad atteggiamenti deprecabili, palesemente superficiali, grossolani e sbrigativi.
Ebbene il Carlone di cui si parla altri non è che Carlo Magno, re dei Franchi e dei Longobardi, fondatore dell’impero carolingio, incoronato a San Pietro la notte di Natale dell’anno 800. Descritto come un uomo piuttosto corpulento, ma dal portamento virile e dignitoso, il sovrano consolidò il proprio potere grazie a un’efficace politica militare, di governo e diplomatica che gli valsero la reputazione di “padre dell’Europa”. A Treviso, dopo aver sottomesso il potere ducale longobardo, Carlo Magno decise di trascorrere sulle sponde del Sile la Pasqua dell’anno 776 giusto per ribadire, a chi nutrisse ancora dei dubbi, come le cose fossero cambiate.
A compromettere, seppure marginalmente, il granitico prestigio di Charlemagne furono certi poeti italiani: eroe nelle chanson de geste di tradizione francese, nel Morgante del fiorentino Luigi Pulci il figlio di Pipino assunse incredibilmente i contorni di un re “rimbambito” che “non s’accorge d’esser schernito”. Un regnante rozzo e trascurato, impacciato e più a proprio agio con abiti dimessi piuttosto che con lussuosi broccati: di lui si narra che un giorno si recò a caccia abbigliato così modestamente da sfigurare dinanzi ai propri sudditi. Quando, tuttavia, una burrasca investì la nobile comitiva, i grezzi panni protessero Carlo molto meglio delle sete raffinate: l’imperatore dimostrò ancora una volta la propria saggezza, ma da allora il suo stile “alla carlona” passò alla storia come sinonimo di imperdonabile trasandatezza e volgarità.
Fare le cose “alla carlona”, abbigliarsi “alla carlona” e ancora comportarsi “alla carlona”, oramai è chiaro, non è affatto un complimento: se nella migliore delle ipotesi può essere assimilato al fare le cose alla buona e senza pretese, altrove la locuzione serve a descrivere individui poco brillanti, grezzi, spreconi e anche un po’ sguaiati.
Povero Carlo Magno: unificare l’Europa, cingere la corona imperiale, rivoluzionare il sistema monetario, riformare esercito e flotta navale, riordinare la giustizia non sono state iniziative sufficienti a sottrarlo dalla reputazione di persona sprecisa e disattenta proprio come accadde a quel sant’uomo di mio padre alle prese con lo spolverino di piume.
Per fortuna c’è chi tende una mano ai goffi, ai frettolosi, agli sbadati; fra questi la grande Alda Merini, la poetessa dei Navigli, che sosteneva: “La superficialità mi inquieta ma il profondo mi uccide”.
(Autore: Marcello Marzani)
(Foto: Carlo Magno in un ritratto di Albrecht Dürer – Kaiser Karl der Große (Gemälde, Porträt), Germanisches Nationalmuseum. Da Wikipedia)
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