Modi di dire: fare il portoghese

Situato nella porzione occidentale della Penisola Iberica, affacciato sull’Oceano Atlantico con un litorale di oltre 800 chilometri, il Portogallo vanta innumerevoli relazioni storiche, economiche e culturali con il nostro Paese; e fra i legami più singolari che accostano l’antica Lusitania con il Veneto vi è una data, il 13 giugno, singolare fil-rouge che attraversa due territori solo in apparenza così lontani.

Il 13 giugno 1231, nel monastero francescano dell’Arcella, alle porte di Padova, moriva Sant’Antonio. Trentacinque anni, originario di Lisbona, il Santo trascorse la propria breve, ma intensa parabola terrena in Portogallo, Francia e Italia.

A distanza di oltre sei secoli, esattamente il 13 giugno 1888, nasceva a Lisbona uno dei maggiori letterati del Novecento, Ferdinando Pessoa a cui fu attribuito, non a caso, il secondo nome di Antonio. Una scelta dettata dal concomitante anniversario della morte del Santo e dalla volontà della famiglia del futuro poeta di sottolineare la presunta discendenza genealogica da Sant’Antonio di Padova o, meglio, da António de Lisboa.

Protagonisti di straordinarie imprese marittime, audaci esploratori, abili commercianti, produttori di vini prestigiosi e musicisti raffinati i portoghesi, a distanza di secoli, subiscono loro malgrado le conseguenze di una cattiva reputazione della quale non hanno alcuna colpa. Nel linguaggio comune infatti, “fare il portoghese” equivale a viaggiare sui mezzi pubblici senza biglietto, entrare al cinema o a teatro eludendo la cassiera, partecipare a una festa senza essere invitati. Una nomea assolutamente ingiustificata, ma così diffusa da sollecitare la stessa Ambasciata del Portogallo in Italia a occuparsene con un articolo pubblicato sul sito istituzionale.

Da dove nasce questa fama poco onorevole e del tutto immotivata?

Una prima ipotesi rimanda alla Roma del Settecento, epoca in cui l’aristocrazia lusitana contribuì così generosamente alla costruzione del Teatro Argentina da spingere le autorità locali a concedere a ciascun membro della comunità portoghese l’ingresso gratuito in sala; una ghiotta opportunità per alcuni italianissimi furbetti che, pur di non pagare, si finsero lusitani.

Altra possibile spiegazione del curioso modo di dire chiama in causa addirittura un elefante originario dell’isola di Ceylon. Annone, questo il nome del pachiderma, giunse a Roma nel 1514 come dono della nobiltà portoghese al neoeletto pontefice Leone X. Un omaggio talmente gradito da spingere il papa a offrire ai membri della delegazione portoghese l’accesso gratuito a locande, osterie e teatri cittadini. Venuti a conoscenza del singolare privilegio, in molti non esitarono a dichiararsi portoghesi pur di cogliere al volo un’occasione irripetibile. 

C’è invece chi propende per una terza ipotesi, anch’essa risalente alla Roma del XVIII secolo. Nella fattispecie pare che le autorità diplomatiche portoghesi avessero organizzato un ricevimento al quale, i propri connazionali, potevano accedere senza alcun invito, semplicemente dichiarando la propria provenienza: facile immaginare la folla di “portoghesi” che si accalcò all’ingresso per tentare di intrufolarsi gratuitamente alla festa!

La curiosa locuzione, secondo altre fonti, sarebbe invece da mettere in relazione con una esenzione dalle imposte daziarie disposta dallo Stato Pontificio a favore dei cittadini portoghesi quale segno di riconoscimento per l’ingente quantitativo d’oro donato al Vaticano e destinato alle fastose decorazioni della basilica di Santa Maria Maggiore.

Il solo a ironizzare sulla propensione di certi portoghesi ad “autoinvitarsi” alle feste campestri è stato proprio un intellettuale lusitano vissuto nell’Ottocento, Almeida Garret, ultimo a ricoprire la carica di Cronista ufficiale del Regno del Portogallo.

A questo punto verrebbe da chiedersi come si sarebbe posto il grande Ferdinando Pessoa dinanzi a questa ridicola faccenda. Si sarebbe offeso? Avrebbe difeso a spada tratta i propri connazionali o forse, come è giusto, avrebbe preferito non dare alcun peso a una tale frivolezza? Mi piace pensare che anziché indugiare in una questione così futile avrebbe preferito concentrarsi sulla struggente bellezza del Portogallo e della propria città. “Per me” affermava il poeta “non esistono fiori in grado di reggere il confronto con la varietà dei colori che assume Lisbona alla luce del sole”.

(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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