La frangitura come rito alla Tapa Olearia di Cavaso: temperatura e vicinanza, segreti della qualità dell’annata 2020


Si lavora fino a tarda sera al frantoio di Cavaso del Tomba: a partire dalla scorsa settimana, i 550 soci di Tapa Olearia hanno portato alla sede cavasotta e a quella di Vittorio Veneto migliaia delle caratteristiche cassette rosse ricolme di olive.

Se l’annata del 2019 era stata preoccupante, con un risultato pari a 28 mila chilogrammi di olive molite e meno di 3.200 chili di olio, specialmente in confronto ai 108 mila dell’anno prima, quest’anno la produttività degli ulivi sulla Destra Piave sembra tornare a dare buone notizie. La priorità del frantoio di Cavaso, tuttavia, sembra stare, più che nella quantità, nella qualità del prodotto.

A differenza dei frantoi destinati al grande commercio, quello di Cavaso, parallelamente a quello di Vittorio Veneto, seguono un ordinamento specifico mirato a conservare l’originale gusto del prodotto. Ben prima della recente proclamazione a Città dell’Olio, quando era possibile, la frangitura diventava una sorta di rito e molte famiglie si fermavano per brindare mentre guardavano il loro olio colare nelle latte.

Come spiega Lino Talamini, presidente di Tapa Olearia, si pensa alla qualità già durante il trasporto: dal punto di raccolta alla sede, i contenitori di plastica forata permettono alle olive di mantenere una temperatura moderata.

L’estrazione a freddo è una delle caratteristiche più importanti di quest’olio: i procedimenti che prevendono un cambiamento di temperatura, oltre i 27 gradi, tendono a modificarne anche il gusto.

Una volta che hanno raggiunto il frantoio, le merci vengono pesate e si mettono in coda per la frangitura: a gestire questo processo, che richiede una notevole conoscenza del mestiere, ci sono in genere almeno un paio operatori specializzati.

Da un primo serbatoio le olive vengono trasportate con un nastro in una sorta di lavatrice, che le pulisce dalla terra e dalla polvere: tirate a lucido, le olive vengono portate a un secondo macchinario, definito “frangitore” che macina il prodotto.

La gramolatura, un passaggio essenziale per la buona riuscita dell’operazione, separa le molecole dell’olio da quelle dell’acqua per poi trasferire il prodotto al decanter, dove la sansa viene separata dall’olio.

È interessante sapere che alcuni olii commerciali, tra quelli che si trovano nei supermercati, vengono prodotti a partire dalla sansa, quindi dal materiale di scarto di altre frangiture: nonostante un rendimento minore, è chiaro che la sansa è più conveniente del prodotto vero e proprio. A proposito di materiali di scarti, anche il nocciolo dell’oliva, che viene separato dall’olio, a Cavaso viene recuperato e riutilizzato per comporre i pellet da caminetto.

Dopo il passaggio in decanter, un’ultima macchina purifica l’olio, rimuovendo ogni eventuale imperfezione tralasciata nelle scremature precedenti. Il prodotto viene poi versato in grandi latte e riconsegnato ai produttori, che per regolamento non possono essere di plastica. “La qualità – racconta uno dei produttori, – si deve anche al fatto che le olive non vengono ammucchiate e lasciate in attesa, ma portate a frangere man mano che vengono raccolte”.

Lo sforzo di chi porta avanti questa tradizione, che sulla Destra Piave si è sviluppato grazie alla vicinanza con il frantoio di Bassano, continua a non essere qualcosa da dare per scontato: anche se la raccolta si concentra nel periodo autunnale, gli olivi hanno bisogno di una manutenzione costante attraverso sfalci e trattamenti, se pur minimi. “È un’olivicoltura di sacrificio e di lavoro” conclude Lino Talamini, offrendo una bottiglia d’olio cavasotto.

Anche l’amministrazione, guidata da Gino Rugolo, si dice ancora più orgogliosa di ospitare un frantoio in territorio comunale e rinnova il proprio intento di valorizzarne i prodotti, interpretandoli come vettori di un turismo slow e di una sinergia vincente.

(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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