La storia di Cristina Pavesi, vittima senza giustizia della Mafia del Brenta, è destinata a essere raccontata e, soprattutto, ricordata sempre di più, non solo per non dimenticare la storia di questa giovane coneglianese ma, soprattutto, per scuotere le coscienze.
Scuotere le coscienze in merito al fatto che la mafia non è un fenomeno concentrato solamente al Sud, ma è capace di muovere i propri tentacoli anche in altri territori, così come è avvenuto tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, a causa della banda di Felice Maniero.
Un aspetto emerso durante la mattinata di oggi, quando a Palazzo Ferro-Fini a Venezia, sede del Consiglio regionale, è stato presentato il volume “Incolpevoli per aver commesso il fatto. Storia di Cristina Pavesi, vittima della Mafia del Brenta”, scritto da Gianluca Ascione ed edito da Panda Edizioni.
Un volume che Ascione ha già presentato a maggio, proprio nella città di Conegliano, dove Cristina, trevigiana di origine, era residente con la famiglia.
Cristina morì il 13 dicembre 1990, a soli 22 anni, durante un assalto a un vagone postale da parte della Mafia del Brenta, proprio mentre la giovane studentessa stava rientrando dall’università in treno.
Un dolore per la sua perdita difficile da colmare, accompagnato da un profondo senso di ingiustizia, dovuto al fatto che la banda di Maniero ebbe una pena irrisoria per l’assalto al treno e nulla per l’uccisione di Cristina.
La mafia al Nord e la necessità di ricordare le vittime come Cristina
La presentazione del volume di Ascione è stata condotta da Erika Baldin, consigliere segretario del Consiglio regionale del Veneto, che ha introdotto, oltre allo scrittore Gianluca Ascione, anche vari profili legati alla tematica: “Un’occasione, questa, per fare luce sugli eventi e ricordare le vittime come Cristina Pavesi”, ha detto.
Baldin ha inoltre ricordato la presenza in Veneto di un “Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza” e l’introduzione dell’obbligo per la Regione Veneto di costituirsi parte civile nei processi legati a questo fronte.
Gianluca Ascione ha prima di tutto portato i saluti di Michela Pavesi, la zia paterna di Cristina che, in tutti questi anni, ha fatto tanto proprio per portare avanti la memoria della nipote.
“Non è una storia che ho cercato – ha raccontato Ascione, il quale ha ripercorso le tappe che lo hanno condotto alla stesura di questo libro, con il benestare di Michela Pavesi – È stata una grande avventura, iniziata con la sua approvazione”.
Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso pubblico, ha osservato quanto, così facendo, “il dolore sia stato trasformato in un progetto civico di altissimo livello”.
“Un libro che aiuta a capire cosa è stato il Veneto negli anni Ottanta e Novanta: una regione di transito e sviluppata, quindi di interesse per le mafie – le sue parole – Qui non vengono fatti ‘esercizi di violenza forte’, ma bisogna porre attenzione alle dinamiche della politica e dell’economia: tenere gli occhi aperti e non abbassare la guardia. Il fenomeno di prevenzione della mafia, quindi, riguarda tutti”.
Pierluigi Granata, componente dell’Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa ha, invece, lanciato un allarme sul fatto che “i giovani non hanno memoria dei fatti mafiosi avvenuti in Veneto”.
“Non c’è contezza del pericolo attuale – ha osservato – Per combattere la mafia non basta la sola azione punitiva dello Stato, ma serve la prevenzione. Parlare di Cristina, quindi, serve anche a diffondere la cultura della legalità“.
Antonino Cappelleri, già procuratore capo di Padova, ha evidenziato quanto Ascione abbia saputo valorizzare il ricordo di Cristina: “La memoria serve contro le infiltrazioni – ha dichiarato – Non fu facile per i magistrati dare una definizione alla Mafia del Brenta. Solitamente con il termine ‘mafia’ si pensa al Meridione, a una mafia che dice ‘qui sul territorio comando io’. La Mafia del Brenta ebbe una mentalità diversa, con il ‘modello dell’azienda’: Maniero disse che non cercò mai un conflitto con le istituzioni o di gestire degli ostaggi. Lui voleva fare la bella vita e, per questo, voleva comandare”.
“Capì che gli conveniva sollevare il meno possibile lo scontro, ma si esaltava nel momento di un’impresa particolarmente illecita: aveva dei momenti di perdita di se stesso – ha proseguito – Pensiamo, ad esempio, al caso del furto del mento di Sant’Antonio da Padova dalla Basilica: era uno dei modi per cercare di ricattare le istituzioni, per ottenere degli alleggerimenti giudiziari. Lui e i suoi furono impuniti, perché salvati dalla prescrizione del reato”.
L’appello di Gianluca Ascione per il futuro
La presentazione del suo libro è stata per Gianluca Ascione anche l’occasione per lanciare un appello per il futuro.
“Il libro deve parlare anche di mafia, perché era il contesto, ma l’importante è che emerga la figura di Cristina – ha affermato – Voglio quindi fare un appello: mi auguro che tutti, ognuno con le proprie competenze, diventano empatici con chi vive ancora quel dolore”.
“Le famiglie coinvolte sono condannate a un ergastolo morale – ha continuato – Quando succedono fatti di questo genere, diventano dei drammi collettivi e, poi, con il tempo, ognuno di noi torna alla propria vita: cerchiamo di fare esercizio di memoria“.
L’incontro è stato accompagnato da alcune letture di Patrizia Ferraro, tratte dal volume (con un focus sulla descrizione, tramite una testimone, del momento dell’esplosione del vagone postale), assieme alle parole di Michela Pavesi.
“Il mio è stato e resta un lungo cammino, – le parole di zia Michela, lette tramite la voce di Ferraro – dove bisognava calmare il senso di ingiustizia, dovuto alla pena irrisoria data agli uomini di Maniero per la rapina e alla mancanza di pena per la morte di Cristina”.
“Ho sempre cercato di parlare, affinché Cristina non fosse dimenticata”, ha concluso.
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