Perin sulla teoria del rischio d’inondazione al “collo di bottiglia” del Piave: “Se l’acqua torna, sarà un disastro”

Sono decenni che Diotisalvi Perin, presidente del Comitato Imprenditori Veneti Piave 2000, si occupa dello studio degli eventi storici che hanno interessato gli argini del Piave dal 1966, anno in cui una massiccia alluvione, con una forza di circa 5 mila metri cubi al secondo e un’altezza di quattro metri, andava a inondare le due sponde e i centri abitati, da una parte Colfosco e dall’altra Nervesa.

Lo studio ha ripercorso assieme all’ingegnere Alfredo Dal Secco anche la storia dei murazzi eretti ancora all’epoca della Serenissima e delle alluvioni distruttive da Treviso a Venezia fino al 1882, oltre a quelle minori fino, appunto, al disastro del ’66.

Negli anni Perin ha preso a cuore questo argomento, analizzando di tasca propria le dinamiche del fenomeno: è ormai lontano il ricordo dell’alluvione per la gente del posto, ma la sua battaglia continua.

Le conseguenze dell’inondazione del ’66 erano state spaventose: dalla parte di Nervesa, l’acqua era arrivata fino ad Arcade, dalla parte di Colfosco alcune foto mostrano come l’acqua avesse sommerso alcuni edifici in zona Barca. Animali impigliati agli alberi, danni economici incalcolabili e due morti.

Le cause dell’inondazione, secondo Perin, non sono da attribuire soltanto agli agenti atmosferici, ma alla non corretta manutenzione del Piave che avrebbe spostato lateralmente lo scorrimento della corrente, aumentandone la pressione.

“Nel letto del Piave erano e sono presenti grossi alberi, ceppaie, ghiaie miste a terra e rifiuti – sostiene Perin, – I pioppi nel letto del Piave sono illegali e impediscono il flusso delle acque. In caso di piena potrebbero accatastarsi contro i piloni dei ponti.”

L’imprenditore si dichiara fortemente preoccupato per la condizione del Piave in quella sezione e invia periodicamente lettere ai piani alti per tentare di sensibilizzare su quello che, a suo avviso, è un rischio attuale ancora oggi.

“Ho spostato il mio stabilimento che produce gruppi elettrogeni di qualche chilometro verso l’interno – afferma – perché ritengo che il rischio sia troppo alto”. Perin argomenta così la sua preoccupazione, portandoci nel punto più stretto che vede contrapposti località Nido del Corvo, sul Montello, e zona Mina, a Colfosco: “I serbatoi di laminazione poco più in su, quelli di Ciano, sono comunque insufficienti per trattenere metrature d’acqua come quelle viste nel ’66. Qui il letto del fiume dovrebbe essere rettificato almeno una volta all’anno per agevolare il deflusso. Essendo l’acqua non comprimibile, è naturale che a ogni piena il livello del fiume si alzi sopra gli argini”.

La soluzione ideale per Perin c’è già e si trova in provincia di Vicenza, a monte del Bacchiglione: “Lì i sindaci hanno avuto il coraggio di avviare lavori importanti, capaci di agevolare il flusso e ridurre il rischio. Basta copiare”.

Sempre secondo l’imprenditore a dimostrare una certa mancanza d’attenzione da parte di chi ha effettuato i lavori di manutenzione sul letto del fiume, c’è un tratto di argine in zona Mina, che sarebbe stato composto con i residui delle ultime pulizie sul letto del fiume, circa quindici anni fa: le ceppaie presenti sotto i terrapieni lungo l’argine sarebbero così marcite e avrebbero dato vita a quelle voragini che si possono osservare passando lungo il sentiero. “Dentro ci sono finiti cani e animali selvatici” afferma.

Nonostante le numerose lettere inviate alla Prefettura, al Genio civile, alle autorità di Bacino, Perin afferma di non aver ricevuto sufficienti risposte, per quanto la sua ricerca venisse portata avanti con metodi storico-scientifici e con consultazioni dell’Università di Padova.

La sua teoria ripercorre un tema che viene dibattuto in modo più che acceso per quanto spetta a Ciano del Montello, dove lo scontro avviene tra enti e comitati, ma che riguarderebbe tutto il Piave, da sinistra a destra, dalla foce al delta.

(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
(Video: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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