A Vittorio Veneto, come in molti paesi dell’Alta Marca, la sera del 5 dicembre resta legata a un suono preciso: quello dei “bandòt” trascinati per le strade da bambini e ragazzi in attesa di San Nicolò. L’usanza vuole che, alla vigilia della festa, si esca di casa con pentole, coperchi, latte e pezzi di metallo legati insieme, per fare più rumore possibile e richiamare il santo lungo vie e cortili.


Quest’anno la tradizione è stata raccolta e rilanciata dalla scuola dell’infanzia di Santa Giustina, che ha deciso di rendere protagonisti i bambini. Le insegnanti hanno chiesto a ciascuna famiglia di portare a scuola i propri bandòt e, in classe, li hanno uniti grazie al cosiddetto “filo dell’amicizia”, un filo speciale di lana rossa già utilizzato in altri giochi dedicati all’educazione alla socialità. L’idea è semplice e efficace: legare insieme, in senso fisico e simbolico, strumenti rumorosi e mani di bambini.


Per preparare gli “strumenti”, le maestre si sono fatte aiutare anche da una nonna “esperta”, invitata a scuola proprio per tramandare i gesti di un tempo. Con il suo supporto, lattine, pentole, coperchi e contenitori di vario genere sono stati forati e infilati in modo che ogni bambino potesse avere un piccolo grappolo di bandòt da trascinare. Ne è nata una sorta di orchestra popolare in miniatura, pronta a uscire dal cancello della scuola per il consueto giro nel quartiere.


Ieri i bambini hanno lasciato le aule e sono andati in strada, ciascuno con il proprio grappolo di ferraglia che rimbombava sull’asfalto. A colpi di rumore hanno percorso via Caprera, diretti verso via Con Bassi, fino a raggiungere il limitare del bosco, da dove – secondo la tradizione – San Nicolò dovrebbe arrivare. Il piccolo corteo ha portato allegria e un po’ di sana confusione lungo il tragitto, trasformando un breve percorso quotidiano in una piccola avventura collettiva.


«Un’esperienza che i bambini non dimenticheranno – raccontano le insegnanti – e che ha fatto piacere anche a quelle persone, non più tanto giovani, che si sono affacciate alle finestre e indicavano la direzione in cui avevano visto passare San Nicolò». I loro sorrisi raccontavano la soddisfazione di non vedere scomparsa una tradizione, ora condivisa con le nuove generazioni, che hanno imparato a conoscerla non solo nei racconti dei nonni ma vivendola in prima persona.


Tra i bandòt più radicati della città restano quelli di Ceneda, organizzati ogni anno da un gruppo di genitori del quartiere, dall’associazione MAI e dal gruppo “Le mamme di Ceneda”. Anche lì il rumore della festa ha risuonato regolarmente nel tardo pomeriggio, nonostante la pioggia battente. La determinazione nel non rinunciare all’appuntamento dimostra quanto sia forte il legame tra la comunità e questa antica forma di “chiamata” al santo, fatta più di pentole e coperchi che di effetti speciali.


Più in generale, come vuole una tradizione profondamente radicata nell’Alta Marca, San Nicolò non ha mancato di fare visita ad altri Comuni del territorio. Le testimonianze e le immagini raccolte raccontano il suo passaggio a Follina, Refrontolo, Miane, Segusino, Tarzo e Farra di Soligo, dove bambini e famiglie hanno partecipato alle iniziative organizzate nei paesi, tra incontri con il santo, piccoli doni e momenti di festa condivisa. Ogni luogo ha aggiunto il proprio tocco, ma ovunque il filo conduttore è lo stesso: un santo che arriva in punta di piedi e una comunità pronta a fare rumore per accoglierlo.
Così, tra il frastuono dei bandòt lungo via Caprera, le finestre che si aprono nel quartiere di Santa Giustina e i cortei che animano Ceneda e i paesi dell’Alta Marca, la figura di San Nicolò continua a rimanere ben presente nella memoria dei più piccoli e dei più grandi. Una tradizione semplice, fatta di latta e di lana rossa, che ogni anno ricuce il legame tra scuola, famiglie e territorio, trasformando una sera d’inverno in un’occasione per stare insieme e far sentire che il paese è vivo.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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