Attività sportiva e disabilità (dal recupero dell’autonomia al sogno paralimpico) (2^ parte)

Il mese scorso, nella prima parte di questo articolo, abbiamo rimarcato come l’attività sportiva sia fondamentale per garantire alla persona diversamente abile una buona qualità della vita. Lo scopo del presente articolo è di farci comprendere un po’ meglio il significato delle sigle che identificano le categorie paralimpiche, permettendoci di essere degli spettatori più consapevoli.
Sicuramente ci sarà capitato di chiederci cosa vogliano dire quelle sigle sconosciute che identificano tali categorie e che sono fondamentali per garantire a tutti gli atleti la possibilità di confrontarsi con avversari di pari livello con lo scopo di avere una competizione il più equilibrata possibile.

Le categorie paralimpiche

Le categorie paralimpiche, definite dall’IPC (International Paralympic Commitee), vengono identificate per ogni sport e si differenziano a seconda della patologia, del grado di disabilità e delle funzionalità fisiche dell’atleta.
Alla base della definizione delle categorie paralimpiche c’è la necessità di permettere una competizione tra atleti con disabilità simili, ma soprattutto dotati di uguale profilo funzionale, ovvero uguali capacità tecnico-tattiche.

Questo vuol dire che ad esempio nella competizione di atletica dei 100 metri T44 (categoria di atleti che hanno un arto inferiore amputato al di sopra del ginocchio) troviamo anche atleti amputati ad entrambe le gambe oppure atleti che non hanno amputazioni, ma un deficit motorio ad uno dei due arti.
Attualmente ci sono 10 impedimenti eleggibili per lo sport paralimpico: 8 di questi impedimenti fanno parte delle disabilità motorie; abbiamo poi le disabilità di tipo visivo e quelle intellettive.

Le categorie paralimpiche moderne sono identificate da una lettera e da numeri: la lettera identifica il tipo di sport, i numeri indicano la disabilità e il tipo di impedimento.
Di seguito prendiamo come riferimento le discipline olimpiche per eccellenza (atletica leggera e nuoto) per fornire qualche esempio.

Il nuoto

La classificazione per il nuoto paralimpico segue gli stessi criteri di tipo funzionale, spiegati sopra nell’esempio dei 100 m piani in atletica; nel nuoto gli atleti con disabilità fisica gareggiano nelle categorie identificate da un numero che va da 1 a 10, dove 1 significa la disabilità più grave.
Gli atleti non vedenti gareggiano nelle categorie 11, 12, 13 (dopo essersi sottoposti a visita specialistica) mentre la categoria 14 appartiene a nuotatori con disabilità intellettive.

Accanto ad ogni categoria c’è una lettera che stabilisce la specialità nella quale si gareggia: S (Stroke) per stile libero, dorso e farfalla; SB (Breastsroke) per la rana; SM (Medley) per i misti.

Nel nuoto un atleta viene valutato attribuendogli un punteggio che corrisponde alle funzioni che può ancora esprimere; successivamente l’atleta verrà inserito in una delle dieci categorie previste a prescindere dal tipo di disabilità (se di origine cerebrale, midollare oppure ortopedica).

Ad esempio nelle categorie S1, SB1, SM1 gareggiano nuotatori con notevoli problemi di coordinazione dei 4 arti oppure a cui manca l’uso delle gambe, del tronco e delle mani. Hanno una minima capacità di utilizzo delle spalle e durante la vita quotidiana necessitano di assistenza. Di contro nelle categorie identificate dai numeri 9-10 troveremo atleti affetti da disabilità minima, in grado di gareggiare partendo fuori dall’acqua.

Spesso queste categorie sono governate da un insieme di regole complesse che si sono moltiplicate nel corso degli anni sempre con l’obiettivo di garantire competizioni equilibrate.

Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Stefano Sedassari – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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