Fare festa

Gli eventi culturali, le manifestazioni e i concerti per il quinto anniversario del riconoscimento a Patrimonio dell’Umanità UNESCO delle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene dell’ultimo fine settimana ci danno lo spunto per riflettere insieme sul senso della festa, sulla celebrazione delle ricorrenze, sul piacere di suggellare motivi e traguardi attraverso occasioni speciali, momenti di gioia, happening di spensieratezza e felicità condivisa.

Al tempo di tante tristezze e inquietudini nella vita di molte persone e di vari ambienti sociali, non sembri questo un ragionamento poco opportuno, un diversivo strano, o forse una sottolineatura scontata, di cui poco si avverte la necessità. Può essere: di fronte a un mondo che pare travolto da cattive notizie e da un’informazione spesso incline a dare risalto a fatti di negatività e pessimismo, il richiamo a gustare la festa e le cose belle dell’esistenza potrebbe davvero sembrare un azzardo, un’operazione fuori luogo e fuori tempo.

Certo, esiste una differenza fondamentale: se parliamo di festività facciamo riferimento a un carattere pubblico, a una veste istituzionale, a una ricorrenza che assume rilievo perché inserita nel calendario ufficiale delle date che hanno un valore particolare per la comunità nazionale e locale, sul piano religioso e civile.

Anche qui, comunque, è importante il coinvolgimento delle persone, pure in senso formale, perché si tratta di fare memoria e di  porre attenzione a figure e avvenimenti che hanno segnato profondamente il cammino della collettività, pena la perdita progressiva del senso di identità e dello spirito di appartenenza a un destino comune. Su un piano diverso, personale, interiore, psicologico, è racchiuso invece il senso psicologico della festa, che nella sua etimologia deriva dal latino “festum”, ossia gioia, giubilo ma anche baldoria. Fare festa, essere in festa, significa pertanto avere la capacità della levità del divertimento e della “serietà” di esso: vuol dire, insomma, saper dismettere le vesti del consueto e conosciuto per addentrarsi entro logiche diverse, meno formali, più spontanee, celebrando la vita in tutte le sue dimensioni.

In pratica, si ricerca per l’occasione il profano, “ciò che è fuori”, come ci dice il termine “profanus”, per poter cogliere la bellezza di un momento fuori dall’ordinario, di un traguardo raggiunto, di un qualcosa che prima non esisteva, ed ora si è fatto realtà concreta. Tradotto: ci si arma di coraggio, in qualche modo, ci si ferma rispetto alla quotidianità, e si decide che occorre fare festa, che serve una pausa di sentimenti e di cuore autentico, e che non si possono lasciar trascorrere nell’anonimato alcuni passaggi della vita assolutamente originali, inediti, irripetibili. Occorre in qualche modo bloccare il tempo, quello consueto, quello ordinario, e orientarsi per il suo cambiamento mediante la festa, non da soli, ma insieme agli altri, con letizia, gioia e anche baldoria, una volta smessi i panni che sono nella nostra abitudine.

Fare festa, dunque, a livello personale, migliora di molto la vita, perché ce la fa riacquistare in pienezza, tutta intera, nella sua complessità ma anche nella sua gradevole unitarietà. Ci sono infatti giorni straordinari nell’esistenza di ciascuno, non solo ordinari, e i primi vanno festeggiati a dovere perché donano il senso del cammino compiuto, dei sacrifici posti in essere, di quello che siamo stati e che siamo diventati, grazie alla buona volontà, alla dedizione, alla passione, alla cura, alla competenza, alla generosità. Non solo: occorre festeggiare per le ricorrenze e le vicende  brillanti di famiglia, per le promozioni nel campo dello studio e del lavoro, per i successi nelle competizioni di squadra in campo sociale e sportivo. Perché fare festa implica la vittoria del “noi” sull’individualismo e la solitudine, in quanto aiuta tutti a dare senso, a gustare la meta, e non solo la strada, a celebrare la vita nella sua versione felice, che non può sfuggire nella dimenticanza  e nel grigiore del “non” fare festa.

Ha senso il fermarsi, una volta tanto, in questa vita fatta sempre di corsa, in mezzo a scadenze, impegni e relazioni che non ci lasciano la possibilità di una pausa salutare, di uno sguardo all’indietro su quello che siamo stati, e sulla novità di quello che siamo ora. Cambiamo registro con la festa: mai da soli, sempre insieme agli altri, nella bellezza dell’abbraccio, dei sorrisi e della convivialità che danno sapore alla vita, restituita per tutta la felicità che può donare.

Come detto, occorre decidere di fare festa, non è scontato, perché in ogni caso include la volontà di proiettarsi fuori da sé, di saper condividere, di fare partecipi gli altri della propria vita, e di non chiudersi nella contemplazione introspettiva e solitaria delle proprie soddisfazioni e dei propri successi. Il nuovo umanesimo sa fare festa, come quello antico, che ci ha lasciato tracce indelebili e rappresentazioni meravigliose di come la gioia condivisa possa essere un fattore prezioso e incoraggiante di vita buona. E’ ancora tempo, quindi, di fare festa, per le persone e le comunità, con la volontà di essere felici gustando l’essenziale, e tutto quello che conta davvero.                 

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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