Lentamente

Potrebbe sembrare strano, quasi azzardato, sicuramente controcorrente, fare l’elogio della lentezza proprio nei giorni in cui si assapora ancora la felicità per le brillanti vittorie dei velocisti italiani ai campionati  europei di atletica svoltisi a Roma.

Come a dire: per l’ennesima volta, abbiamo avuto la riprova della bellezza della corsa, del valore del gesto atletico più famoso dai tempi delle Olimpiadi nate in Grecia, dell’entusiasmo puro e della gioia contagiosa che si generano grazie ai trionfi di coloro che si affermano in pista grazie allo scatto poderoso, alla falcata in progressione, allo sprint finale che decreta la prodezza del numero uno della gara. Insomma, di colui che ha impiegato minor tempo fra i concorrenti per completare il percorso.

In sintesi: veloci e vincenti! Eppure avvertiamo un po’ tutti che di profondità e lentezza abbiamo un bisogno reale per dare un assetto e un significato diverso alle nostre giornate, che scorrono dentro ritmi vertiginosi e costanti concessioni alla rapidità di azioni e di risposte continue, senza pause, per ogni tipo di impegno e di relazione.

Lamberto Maffei, ex direttore dell’Istituto di neuroscienza del Cnr, nel suo volume “Elogio della lentezza” ci spiega che il cervello – fattore primo per regolare i nostri comportamenti – ci è stato donato proprio come una macchina lenta, che ha bisogno dei suoi tempi e di una sequenza nel suo funzionamento. Noi invece facciamo il contrario, e viviamo nell’incubo della lentezza che associamo alla perdita di tempo, o peggio, a una menomazione fisica e mentale.

Maffei scrive che “il desiderio di emulare le macchine rapide create da noi stessi, a differenza del cervello che invece è una macchina lenta, diventa fonte di angoscia e di frustrazione”, mentre va considerato il fatto che “la netta prevalenza del pensiero rapido, a partire da quello che esprimiamo attraverso l’uso degli strumenti digitali, può comportare soluzioni sbagliate, danni all’educazione e perfino al vivere civile”.

Da qui la rivalutazione della lentezza come terapia contro lo stress moderno, dove tutto viene comunicato in tempi rapidissimi attraverso social, e-mail o sms. Lavoro, produttività, reti sociali, stress, poco tempo per se stessi. Nell’epoca di internet e della produttività, tutto è rapido, tutto si consuma immediatamente, anche le relazioni. Nella società del “tutto e subito” è necessario ogni tanto prendere un respiro profondo e disconnettersi non solo dai social network, ma anche dalla frenesia della vita quotidiana.

Per ricordare l’importanza della riflessione, della disconnessione e dei ritmi rallentati, lo scorso 8 maggio si è celebrata la quindicesima edizione della Giornata Mondiale della Lentezza. Fermarsi un attimo, coltivare le proprie relazioni e i propri interessi senza stress e senza fretta può aiutarci a ritrovare l’equilibrio e a farci riflettere sul nostro modo di affrontare le nostre giornate.

Tale Giornata è stata istituita nel 2009 da un gruppo di attivisti italiani per promuovere lo “slow living” (stile di vita lento). Infatti,  l’obiettivo è quello di invitare le persone a rallentare il proprio ritmo di vita frenetico e ad apprezzare le cose semplici e autentiche. Ciò potrebbe significare trascorrere del tempo con la propria famiglia e gli amici, fare una passeggiata in natura, leggere un libro, ascoltare della musica o dedicarsi a un hobby creativo.

Va detto che il concetto di ”slow living” è diventato sempre più popolare negli ultimi anni, con l’espansione della cultura del benessere e dell’auto-miglioramento. L’idea è quella di concentrarsi sulla qualità della vita piuttosto che sulla quantità delle cose che si fanno o si possiedono: in pratica, vuol dire prendersi il tempo necessario per apprezzare le relazioni umane, la natura, l’arte e la cultura, invece di impegnarsi troppo in una corsa smodata e senza freni verso il successo e il denaro.

Inoltre, la Giornata Mondiale della Lentezza diventa per i promotori  un’occasione utile per sensibilizzare le persone sui danni di un’esistenza declinata in maniera stressante, per la salute mentale e fisica: infatti, il troppo lavoro e la mancanza di sonno possono causare disturbi come ansia, depressione, malattie cardiache e obesità, e diventare un permanente e pericoloso fattore di  rischio.

Certo, rallentare non è semplice, anzi, ma abbiamo il dovere di provarci, quanto meno negli ambiti extra lavorativi. Ci permetterebbe infatti di riacquisire una concentrazione magari instabile e precaria, di elaborare pensieri e nuove idee in maniera proficua, e di vivere le relazioni, di qualunque genere, in modo pieno e appagante.

Va ricordato infatti che il tempo è la risorsa più preziosa a disposizione dell’essere umano. Al contrario di quanto si pensi, andare sempre velocemente non ci aiuta a vivere più cose nel minor tempo possibile, e non ci permette di fermarci a riflettere su ciò che realmente importa.

Spesso ci trasformiamo in “consumatori compulsivi del tempo”, indipendentemente da ciò che facciamo in quei minuti e in quelle ore della vita, e rischiamo di agitarci senza agire veramente. Dare un senso al tempo, invece, vuol dire dare un significato a ogni attività, condividere esperienza ed emozioni ed evitare quel senso di alienazione dovuto allo stress della produttività, non solo a livello lavorativo ma anche sociale.

A livello psicologico, per favorire un deciso cambio di passo in questa direzione, non aiuta il fatto che spesso la lentezza viene associata alla staticità, con un’accezione prevalentemente negativa: va ribaditoi invece che  non sempre un andamento adagio comporta una situazione di stallo, di immobilità, di fissità, perché la lentezza convinta e meditata può essere estremamente dinamica e generare pensieri e azioni di vitale importanza per la persona e la comunità.  

“Il tempo è una ricchezza di cui disporre con agio e distacco” – affermava lo scrittore Italo Calvino. E viene in mente il motto dell’imperatore Augusto, “Festìna lente”, ossia “Affrettati lentamente”, un ossimoro che unisce velocità e lentezza, indicando un modo di agire senza indugi, con cautela ma senza paura.

E’ proprio vero: scegliendo uno stile “slow”, oggi molto di moda anche in ambito turistico, avremo più tempo per pensare, fare buoni progetti, assumere decisioni migliori e mirate, riposare meglio, mangiare con calma secondo uno stile di convivialità condivisa, abituandoci a fare una cosa per volta, senza essere febbrili e ansiosi “multitasking” a tutti i costi, e mettendo al centro le relazioni sociali, quelle vere, quelle autentiche “on life”, che salvano e fanno la vita migliore. Senza affanni, senza corse, senza strappi, con salutare e sorridente lentezza.   

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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