Durante un incontro con un gruppo di giovani avvocate, dedicato alla necessità di sviluppare un nuovo vocabolario ambientale, è arrivata una masterina che, con non poca determinazione, si è presentata come la referente “scientifica” di un gruppo di giovani avvocati desiderosi di specializzarsi in diritto ambientale.
Ascoltandola, il pensiero si è soffermato su un tema che ormai troppo spesso sottovalutiamo: il significato profondo delle parole e il loro abuso. Un’avvocata, per sua formazione, dovrebbe padroneggiare l’arte di modellare il linguaggio, eppure, come si può attribuire a questa figura un ruolo che si richiama alla scienza? La scienza, con il suo metodo fondato sull’osservazione empirica, sulla sperimentazione rigorosa e sulla falsificabilità, abita un territorio epistemologicamente opposto alla logica argomentativa del diritto, incentrata sulla costruzione dialettica di tesi.
Riflettendo, emerge una preoccupazione sempre più condivisa con altri colleghi: affidare la direzione scientifica a chi si muove su paradigmi così distanti può creare confusione, non solo metodologica, ma anche intellettuale. Le materie necessitano di confini chiari, non per isolarsi, ma per non perdere la propria identità, soprattutto quando si affrontano discipline integrate come sono, appunto, quelle ambientali dove le scienze si devono complementare con l’economia, con la dottrina e la giurisprudenza, e camminare al fianco della sociologia e della psicologia. Gli ambienti accademici, in particolare, dovrebbero rappresentare il faro del rigore e dell’eccellenza, non luoghi dove si rischia di compromettere la credibilità delle diverse conoscenze.
Così, con una leggera nota di malinconia, il pensiero è tornato alle priorità del diritto ambientale. Un ambito che, nella sua complessità, non ha certo bisogno di appoggiarsi a richiami metodologici impropri, ma che deve fondare la propria forza su uno studio rigoroso della sua evoluzione, con uno sguardo attento e consapevole verso la sostenibilità. Ho quindi deciso di concentrarmi su alcuni temi chiave, analizzando le definizioni biologiche delle riflessioni presentate nel Focus di Nature Sustainability dedicato al diritto ambientale che trovate qui
Un aspetto che non può essere ignorato è la complessità della giustizia ambientale. L’articolo introduttivo del Focus ci invita a riflettere su come il diritto, pur essendo uno strumento fondamentale, non garantisca sempre equità. La riflessione di Anatole France sulla “maestosa uguaglianza” della legge, che proibisce a ricchi e poveri di dormire sotto i ponti o di rubare il pane, è un monito sempre attuale: ciò che è giusto non è necessariamente equo.
Misato Sato e colleghi hanno dimostrato, con grande precisione, quanto possa essere rilevante l’impatto delle cause legali contro le aziende inquinanti. La perdita media di 360 milioni di dollari sul valore azionario, dopo una sentenza sfavorevole, non è solo un dato economico, ma un indicatore di responsabilità crescente per chi opera in modo non sostenibile.
Il lavoro di Christopher Rea e colleghi, che analizza oltre 27.000 casi, ci restituisce una visione più sfumata di chi si occupa di contenzioso ambientale. ONG, aziende e governo federale si spartiscono equamente le responsabilità legali, con una distribuzione geografica interessante: le ONG privilegiano i tribunali occidentali, dove le questioni legate alla conservazione e all’uso del suolo sono più centrali, mentre il governo si concentra sui tribunali orientali.
Un concetto particolarmente stimolante, introdotto da Annalisa Savaresi e colleghi, è quello di “giusto contenzioso di transizione”. Questo approccio riflette sulla possibilità di utilizzare il diritto per garantire una transizione equa verso la sostenibilità, ponendo attenzione alla giustizia distributiva, procedurale e di riconoscimento. Un tema che solleva interrogativi importanti sul ruolo della legge come strumento di progresso.
John Ruple, attingendo alla sua esperienza, ci ricorda che la solidità delle norme dipende dalle risorse a disposizione delle istituzioni. Potenziare le agenzie ambientali, dotandole di personale e mezzi adeguati, significa non solo accelerare i processi di valutazione degli impatti, ma anche intervenire con maggiore efficacia contro chi viola le leggi.
Il Focus di Nature Sustainability ha rappresentato un’occasione per fermarsi e riflettere. Le trasformazioni in atto nel diritto ambientale, dall’ascesa del contenzioso sui cambiamenti climatici al concetto di giusto contenzioso di transizione, alla crisi della biodiversità, dimostrano che siamo di fronte a un momento cruciale. Il diritto ambientale, con la sua capacità di plasmarsi e adattarsi, può diventare uno strumento potente per garantire giustizia e tutela degli ecosistemi.
Al termine della lezione, il brusio di voci e i sorrisi scambiati tra i presenti sembravano suggerire che la curiosità e la voglia di contribuire ci sono, ma il cammino richiede consapevolezza. Perché, in fondo, la giustizia ambientale è una sfida che ci riguarda tutti, e il diritto, quando usato con saggezza, è un alleato prezioso.
(Autore: Paola Peresin)
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