Il lagotto, da cane d’acqua a compagno inseparabile dei tartufari

Assisto ad una conferenza dove si tratta di cinghiali, di tartufi e di lagotti, una triade di moda da trattare con le pinze, nel nostro caso, usando la ragione. Tralasciando i primi due (ne parleremo in altri bestiari) mi interessa particolarmente scrivere del lagotto.

Ascolto un tartufaro che, con sapienza e dovizia di particolari, spiega le caratteristiche dei deliziosi tuberi e la relativa ricchezza del territorio che ci ospita. Dei lagotti solo un piccolo cenno per ribadire che le accuse spesso rivolte ai tartufari di affamare i cani per spingerli verso una cerca del tartufo, più motivata per i cani e remunerativa per gli umani, sono del tutto infondate.

Interessata ai tartufi, ma di più ai lagotti, faccio un giro per cercare cani e amici dei cani, per osservare e capire. Il lagotto romagnolo è una razza antica e recente allo stesso tempo. Antica perché la sua esistenza è storicamente documentata come il cane riccioluto che accompagnava i vallaroli nella caccia e nel riporto nelle lagune ricchissime di fauna selvatica prima delle bonifiche degli ultimi due secoli e il suo nome lo spiega bene; “càn lagòt” in romagnolo è sinonimo di “cane da acqua” o “cane da caccia in palude dal pelo riccio e ispido”.

Se la razza è dunque un’antica razza italiana, la sua specializzazione è invece recente. Le bonifiche romagnole hanno fortemente limitato il lagotto fino quasi all’estinzione, ma dagli anni ’70 del secolo scorso, una svolta. Grazie ad estimatori della razza, il lagotto è passato da cane d’acqua a cane da tartufo ed è così che noi oggi lo conosciamo.

Il mio primo incontro con i lagotti risale al 1995, durante un censimento di capriolo nelle colline di Tredozio (RA). Mentre con i ricercatori dell’ISPRA (allora INFS) si cercavano piccoli di capriolo da radiocollarare, incontrammo un tartufaro con il suo lagotto e da lì la nascita di un legame con Lupo (il tartufaro) e Mario (il lagotto) che dura ancor oggi.

Vedere il rapporto che esisteva tra Lupo e Mario dava bene l’idea della capacità del tartufaro di solleticare l’aspetto ludico del cane e di saper adoperare la giocosità canina per scovare tartufi. Come al solito quando parliamo di cani significa trattare del rapporto che esiste tra cane e il suo migliore amico, l’uomo.

Etologicamente, l’attività ludica nel cane è autoremunerante; questo vuol dire che per un cane, il massimo della vita è giocare e il lagotto ha tutte le caratteristiche per scovare il tartufo divertendosi e saldando il rapporto che lo lega con il suo conduttore. Come al solito, sta al tartufaro metterlo in pratica. Molti, non tutti, lo fanno.

(Autore: Paola Peresin).
(Foto: Freepik).
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