Modi di dire: rimandare alle calende greche

Il calendario nasce dall’esigenza di ripartire il tempo per ragioni civili e religiose. Astronomico, lunare, solare o lunisolare, ciascun calendario ha specifiche regole utili a compensare le inevitabili discrepanze fra il moto naturale degli astri e la misurazione del tempo secondo parametri rigorosamente matematici. 

Nel mondo romano, prima dell’avvento del calendario giuliano e di quello gregoriano, l’anno iniziava il 1° marzo anziché il primo di gennaio, una peculiarità che fino al 1797 ha contraddistinto la misurazione ufficiale del tempo da parte delle magistrature della Serenissima. Si tratta del cosiddetto more veneto, il tempo veneto, la cui abbreviazione m.v. rintracciabile in numerosi atti ufficiali e in qualche epistola privata dell’epoca, poneva al riparo da errori e fraintendimenti: l’atto di nascita del commediografo Carlo Goldoni, ad esempio, reca la data del 25 febbraio 1706 m.v. che, nel calendario gregoriano (adottato nel 1582 e tutt’ora in vigore), corrisponde al 25 febbraio del 1707. More veneto e calendario ecclesiastico convissero a lungo senza grossi problemi: il 31 dicembre nelle chiese si celebrava la messa di San Silvestro e il primo marzo, nelle campagne, si dava il benvenuto al nuovo anno accendendo fuochi propiziatori e percuotendo pentole e coperchi per scacciare il gelido inverno e sollecitare il risveglio della natura. 

Il vocabolo calendario deriva dal latino calo e dal greco kalèo, ovvero “convocare, chiamare a raccolta”. Nella Roma antica, all’apparizione della luna nuova, le autorità religiose radunavano il popolo sul colle Capitolino e invocavano Giunone, dea del matrimonio e del parto, alla quale erano consacrate le calende, cioèil primo giorno di ciascun mese. Una tradizione estranea ai Greci presso i quali le calende non esistevano. 

Un dettaglio che, a detta dello storico Svetonio, ispirò all’imperatore Augusto la curiosa espressione “pagare alle Calende greche”, riferita a coloro che non avrebbero mai onorato il loro debito. Una locuzione efficace, perpetuatasi nel tempo, e tutt’ora utilizzata per stigmatizzare, con una sottile ironia, qualcosa che non avverrà mai. Lo studente svogliato conseguirà il famoso “pezzo di carta” in occasione delle Calende greche, epoca nella quale si concluderà l’iter di una annosa pratica burocratica e sarà perfezionato quel progetto, forse troppo ambizioso, che si trascina da tempo. Il partner non molto convinto di convolare a nozze rimanderà la cerimonia alle Calende greche e la stessa data sarà individuata dal fumatore incallito per accendersi l’ultima sigaretta.   

Rimandare, procrastinare, rinviare sono verbi che non fanno parte del dizionario di un uomo d’azione, di un “decisionista” come Winston Churchill, il quale asseriva che i problemi non si risolvono congelandoli; dello stesso parere è lo scrittore brasiliano Paulo Cohelo che, saggiamente, afferma: “Quando si rimanda il raccolto, i frutti marciscono; ma quando si rimandano i problemi, essi non cessano di crescere”.

(Autore: Marcello Marzani)
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